lunedì 14 aprile 2008

Funamboli

Musica consigliata durante la lettura: "L'equilibrio è un miracolo" dall'album "Funambola" di Patrizia Laquidara.


Capita qualche volta, quando arriviamo in posto nuovo, soprattutto se si tratta di un piccolo centro, che dei ragazzi vengano a curiosare, così, tanto per passare il tempo. Ed in genere, quando mi vedono gironzolare con l'aria un po' goffa, non risparmiano qualche battutina delle loro, di quelle che possono essere davvero cattive...
Non perché loro lo siano davvero… cattivi. Ma semplicemente perché per quei ragazzi, abituati a degli schemi ben precisi, io sono inevitabilmente ridicolo.
George dice che se io andassi in giro vestito "normalmente", questo non succederebbe. Dice che potrei cambiarmi solo per lo spettacolo, che sarebbe comprensibile se lo facessi e nessuno avrebbe niente da ridire in proposito, ma io non mi sento imbarazzato da ciò che gli altri pensano di me. Anzi, per la prima volta in vita mia sono... a posto.
A posto con me stesso, a posto con gli altri, a posto con Dio... a posto!
E per quanto riguarda le smorfie, la ridicolaggine, la goffaggine... non sono cose così terribili sai? Perché, in fondo, nessuno si aspetta niente di diverso da me. Quindi sono esattamente all'altezza delle aspettative degli altri, il che, in un certo senso, mi protegge.
E tutto questo lo devo a lei... a Magdala.
Lei... beh... lei era speciale.
La cosa buffa sai qual è? Che io non ho mai potuto sopportare il Circo. Sin da piccolo.
C'era qualcosa, nell'atmosfera circense, che mi infastidiva e mi immalinconiva, per cui, alla fine, odiavo tutto... odiavo i domatori, i giocolieri, gli acrobati. Odiavo i clown, i tendoni, i costumi. Odiavo il modo di parlare dei presentatori, lo zucchero filato. Odiavo persino Dumbo, l'elefantino volante.
Che fastidio. E che angoscia... sempre ad aspettare che qualcuno sbagliasse. Temendo che sbagliasse. Temendo per lui, soffrendo per il suo imbarazzo o il suo dolore. Patendo di un'attesa estenuante.
Così, dopo le inevitabili esperienze, da bambino, quando le mie possibilità di scelta erano fortemente limitate, mi ero guardato bene dal rimettere piede in un tendone colorato per anni ed anni. Fino all'inevitabile. Che, in fondo, non avrebbe dovuto cogliermi così impreparato come invece era accaduto. Perché l'inevitabile arriva sempre, prima o poi. Lo dice la parola...
E l'inevitabile, per me, si era verificato quando, diventato maestro elementare, mi era toccato accompagnare una classe di piccoli mostriciattoli al circo. Senza possibilità di scampo, senza appello, proprio come quando ero piccolo.
Ma, fortunatamente, qualcosa di buono, nel diventare adulti, c'è.
Nonostante tutti i miei timori e le mie riserve, infatti, questa volta tutto si era svolto in modo quasi indolore. L'età mi forniva gli strumenti e le protezioni necessarie affinché tutto mi scivolasse addosso senza traumi. Senza l'angoscia e la malinconia di quand'ero piccolino. Ma solo con un po' di fastidio che, con un po' di impegno, potevo quasi ignorare.
L'intero spettacolo era trascorso così, in una sorta di strano distacco, quasi tramortito. Senza coinvolgimenti pericolosi e, soprattutto, senza interesse. Almeno fino a quando non era arrivata lei... Magdala.
Il fatto è che lei mi colpì subito, perché era bellissima.
Bella, non di quelle bellezze straripanti. Ma bella di una seducente sensualità meno marcata. Piccolina, quasi minuta, ma dal fisico solido e perfetto. Il costumino di lustrini e paiettes dalle dimensioni ridicole fasciava un corpo atletico eppure deliziosamente femminile, in cui la pelle tesa disegnava forme sinuose e muscolose al tempo stesso. E le natiche perfette catturavano lo sguardo senza possibilità di fuga.
Così, già in quel momento, perso in quella visione inaspettata, dimenticai tutte le mie protezioni, e diventai preda del circo.
Scese la fune, dall'alto, e lei vi si appese con movenze perfettamente controllate. Si avviluppò a quella corda come se fosse l'abbraccio di un amante, e salì... salì... salì verso l'alto senza rete, senza protezione, per compiere il suo spettacolare numero di funambolismo.
Ed io, lì sotto, al sicuro, mi ritrovai con lei, appeso alla corda, a palpitare, a soffrire, proprio come quando ero piccolo. E quando, finalmente, il suo numero finì, mi resi conto che avevo la fronte imperlata di sudore, e stavo trattenendo ancora il respiro.
Quello fu il momento in cui mi stregò... lei... il circo o entrambi, non saprei.
Il circo restò in città per un mese intero. Ed io vidi quello spettacolo trenta volte. Alla fine mi conoscevano tutti e mi consideravano quasi uno di loro, e fu in questo modo che finii nel carrozzone di Magdala. L'ultima sera.
«Ti ho sentito mentre facevo il mio numero...» disse allacciandosi l'accappatoio.
«Davvero?»
«Certo, eri lì con me, sulla fune. Credevi  che non me ne accorgessi? Noi artisti le sentiamo queste cose...»
«Sì? Non lo so... io non ci credo molto in queste cose».
Sorrise prendendomi la mano e portandosela al cuore. «Lo senti, come batte?»
Io annuii e lei continuò «ed è così che ti sentivo, mentre stavo lì sopra, come un secondo battito accanto al mio. Quindi... tu eri con me.»
«E invece non è possibile» risposi «io non ero lassù, io ero di sotto. Perché... non potrei mai fare quello che fai tu. Non potrei mai vivere così...»
«Così come?»
«Con la vita appesa ad un filo. Sempre in bilico sull'orlo del vuoto. Ogni giorno. Appeso tra la vita e la morte, con la consapevolezza che un movimento sbagliato potrebbe farmi cadere».
«E cosa c'è di così terribile?» domandò lei sorridendomi.
«E me lo chiedi?» risposi «anche solo l'idea di vivere così, tutta una vita sulla corda... tutta la vita in bilico... è terribile».
«Ma tu sei proprio assurdo sai?»
«Perché?»
«Perché tutte le vite sono così. Anche quelle più normali, anche quelle banali e un po' noiose, sono appese ad un filo. Un filo sottile, invisibile, di cui nessuno conosce la vera natura. Un filo che può rompersi da un momento all'altro, facendoti precipitare nel vuoto. E quando quel filo si rompe... è davvero finita».
Restai a guardarla un po' imbambolato, preso un po' dalle sue parole ed un po' dall'accappatoio che aveva preso ad aprirsi leggermente.
«Ma almeno la mia corda io la conosco. Quella fune a cui mi appendo e sulla quale volteggio ogni giorno è la mia fune. Ed io ne conosco ogni segreto. So cosa aspettarmi da lei, e posso affidarle la mia vita con tranquillità. Quell'altra, quella a cui siamo appesi tutti noi, invece, è un mistero... e non si può mai sapere cosa aspettarsi da lei.
Di quella sì che c'è da aver paura.
E non lo so... forse e proprio per non pensarci che vivo così. Appesa alla mia fune, dimentico che ce ne sono mille altre su cui non ho potere. Rischiando la mia vita ogni giorno, volontariamente, dimentico che quella stessa vita è sempre in gioco, anche quando mi trovo a terra. E così vivo con meno paura, e con più gusto. E' così terribile secondo te?»
Scossi il capo.
«Il mio mondo è così...» disse lei tagliando ogni possibile obiezione «ed è un bel mondo, perché ci si vive bene, anche se è delimitato da un cerchio di roulotte sempre in viaggio...»
«Già. E domani partirai...» mormorai.
«E domani partirò...»
«E stiamo perdendo un sacco di tempo...»
«E stiamo perdendo troppo tempo!» esclamò lei ridendo ed attirandomi verso il suo seno...
E quella notte restai con lei. Per sperimentare cosa si prova a fare i funamboli con la propria anima, e col proprio corpo... e con il corpo di chi si ama. Facemmo l'amore in uno strano silenzio, che rimbombava più di mille gemiti, ed io capii... capii davvero, cosa voleva dire... e capii quali erano le mie paure. Perché tutta la mia vita l'avevo vissuta così, con la paura di vivere...
Il giorno dopo lei partì, col suo circo. Ed io rimasi a guardare i carrozzoni che scomparivano lentamente oltre l'orizzonte.
E quando arrivò un altro circo, qualche mese più tardi, non esitai un attimo. Mi tinsi la faccia di bianco, indossai una bombetta verde ed un nasone rosso, e mi presentai lì come se niente fosse.
Adesso faccio il clown da parecchi anni e la mia vita è un viaggio senza fine. Il numero che mi riesce meglio, lo faccio in bilico su una lunga fune... dove litigo con un gruppo di piccioni immaginari. Tutti ridono, e quasi non si rendono conto di quanto sia difficile saltellare su quella fune, senza cadere.
Ogni giorno rischio la vita... assurdamente in bilico. Ma sai una cosa? E' da tanto tempo che non ho più paura.
E sono sereno.


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1 commento:

  1. è bellissimo questo "incontro" e come lo hai descritto. a me ancora adesso il circo fa esattamente quell'effetto: qualcosa di impreciso che nn so descrivere mi mette un'ansia addosso, una sensazione di incertezza e di timore.

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