domenica 25 dicembre 2016

Un parola al giorno (o quasi): ABITUDINE



La voce squillante e allegra di Valeria risuona nella stanza.
“Ciao Mamma!”
Giulia si volta sorridente.
“Ciao Vale… tutto bene a scuola?”
Valeria butta la cartella in un angolo e si va a sedere a tavola prendendo una fetta di pane e addentandola con voracità.
“Tutto ok!”
Giulia la guarda con la solita aria di finto rimprovero.
“Lascia stare il pane che poi non mangi”.
“Certo che mangio… ho una fame…”
Giulia si arrende, almeno per il momento, e riprende a girare il risotto.
“Novità?”
Vale scuote il capo masticando un altro boccone di pane, poi si illumina.
“Ah sì, sono stata interrogata in scienze…”
“E?”
“E ho preso 8!”
“Brava!”
“La Marchetti ha detto che sono un cavallo di razza…”
“Di sicuro mangi come un cavallo. La smetti con quel pane, dai!”.
“E la Graziani non è venuta… quindi siamo stati due ore a fare casino”.
“Ma bravi!”
“Vabbè ogni tanto… ci sta, no?”
“Ogni tanto…”
Valeria annusa con curiosità.
“Che stai cucinando?”
“Risotto”.
“Buono”. Ci pensa un attimo “ci hai messo i funghi?”
“Certo”.
“Ah quasi dimenticavo… è esplosa un’altra bomba”.
Giulia si incupisce.

“Di nuovo?”
“Nel supermercato dicono…”
“Povero signor Marra, era di turno stamattina, speriamo non si sia fatto male…”
“Dicono che ci sono stati pochi morti ‘stavolta”.
“Questa storia non finirà mai… dopo sentiamo cosa dicono al tg. Ah! Ma anche io ho una sorpresa per te!”
Valeria si fa attenta mentre la madre va a prender un pacco.
“E’ arrivato oggi fresco fresco…” dice porgendolo alla figlia. “Ce la fai ad aprirlo da sola?”
Valeria annuisce scartocciandolo un po’ goffamente. Poi, finalmente, estrae la protesi di in braccio destro in materiale sintetico.
“Ma è bellissimo!”
Giulia sorride intenerita.
“Hai visto com’è fatta bene la mano? Sembra vera”.
Valeria sta già armeggiando con il moncherino del proprio braccio per indossare il nuovo arto. Poi assume un’espressione perplessa.
“È un po’ ruvido”.
Giulia le sorride incoraggiante.
“Lo so, serve per l’aderenza…”
“Mmmmh sì, ma è una sensazione… strana”.
“Lo so il medico lo ha detto. Ma è solo perché non ti sei ancora abituata”.
“Dici?”
“Certo amore, dopo un po’ ti sembrerà normalissimo. Ci si abitua a tutto, col tempo…”

mercoledì 9 novembre 2016

Una parola al giorno (o quasi): SORPRESA

- Pronto,  Donald?
- Sì?

- Ce l'hai fatta, sei il nuovo presidente degli Stati Uniti d'America!
- Prego?

- Hai vinto le elezioni...
- Non scherzare Mike, non è divertente...

- Non sto scherzando, hai vinto tu!
(silenzio. si sente solo un respiro leggermente affannato)

- Donald, sei ancora lì?
- Come... mi spieghi come cazzo è successo?!

- Che importa? L'importante è che sia successo, no?
- No!

- Come no?
- Mica volevo vincere io...

- Ma come non volevi vinc... scusa ma che vuol dire?  Sono due anni che stai facendo campagna elettorale...
- Sì lo so. Volevo fare un po' di casino, smuovere le acque, sai com'è... ma mica volevo diventare davvero presidente degli Stati Uniti!

- Ma...
- Cazzo Mike! Ho detto che volevo alzare un muro tra noi e il Messico, che Obama non è  americano! Ho fatto battute maschiliste e razziste, ho evaso le tasse e mi sono fatto una pettinatura da tacchino, che altro dovevo fare per non farmi eleggere?

- Non lo so Donald... senti, lo so che è una sorpresa. Lo è per te come per me, come, credo, per il resto del mondo, ma gli americani hanno votato...
- Ma è ridicolo, non possono pretendere che faccia il presidente! (pausa) Senti, quelli che hanno votato non capiscono un cazzo, è evidente!

- Evidente o no, ormai non si torna  più indietro.
- E quindi? 

- E quindi mo so  cazzi...
- Cazzo...

domenica 30 ottobre 2016

Una parola al giorno (o quasi): VERITA'

Nel finale di un delizioso film di Stephen Frears degli anni '90 (Eroe per Caso), il protagonista, Bernie LaPlante, interpretato da Dustin Hoffman, rivolgendosi al figlio, diceva: 

"Vedi, la gente non fa che parlare della verità, tutti sanno sempre qual è la verità: come se fosse carta igienica, o qualcosa di cui hanno la provvista nella credenza. Man mano che cresci, capisci che non esiste la verità: esistono solo le stronzate. Stratificate: uno strato di stronzate sopra un altro. E quello che fai nella vita, una volta cresciuto, è solo la scelta dello strato di stronzate che preferisci: che diventano le tue stronzate"
Questa è, probabilmente, la frase sulla verità che preferisco in assoluto perché, manco a farlo apposta, è estremamente e drammaticamente "vera".
La nostra intera esistenza è circondata dall'impetuoso mare del dubbio e dell'ignoranza. Un mare che, inutile dirlo, incute timore e, forse proprio per questo, è un mare in cui abbiamo disseminato a perdita d'occhio migliaia di isolette che rappresentano le verità a cui ci ancoriamo per non andare alla deriva. 
Verità a cui crediamo con tutto il nostro essere. 
Alcune ci sono state tramandate dai nonni, altre dai nostri insegnanti, altre dai libri, dalla televisione e, più di recente, da internet, altre ancora ce le siamo costruite da soli con certosino impegno.
Alcune di esse sono addirittura vere, ma, come spesso accade, tra millemila verità si nascondono ancor più falsità, opportunamente camuffate, con travestimenti così riusciti che noi, spesso, crediamo più alle verità fasulle che a quelle vere e finiamo per costruire il tremolante castello delle nostre convinzioni su basi d'argilla.
Tanto per fare un esempio banalissimo di quanto le errate convinzioni facciano parte della nostra quotidianità basti pensare alla nostra incrollabile certezza che gli spinaci siano l'alimento più ricco di ferro che esista al mondo.

Beh, alcuni di voi si sorprenderanno ma questa convinzione risale prima di tutto a un errore di trascrizione [apro parentesi: sull'errore esistono due diverse versioni che attribuiscono il misfatto rispettivamente al chimico tedesco von Wolf (anno 1870) e al fisiologo von Bunge (1890) colpevoli di aver sbagliato a posizionare la virgola dei decimali decuplicando il valore del contenuto di ferro degli spinaci]. Nel 1937 l'errore è stato rettificato, ma ormai era tardi... Braccio di Ferro era già stato creato.
Altro esempio, più vicino alla mia esperienza quotidiana (l'evento che vado a raccontare ha, di fatto, ispirato questo post), è questo:
Stamattina stavo sonnecchiando nel mio letto, col gatto sui piedi quando, come molti di voi sapranno, si è verificata una cazzarola di scossa di terremoto di magnitudo 6.5 con epicentro tra Norcia e Preci.
Orbene, da bravo napoletano ho una certa dimestichezza con le scosse di sismiche e, benché ancora mezzo rincoglionito dal sonno, l'ho sentita. Ma per essere sicuro di non essermi fatto un film o di avvertire, in realtà, un principio di parkinson galoppante, ho immediatamente alzato gli occhi verso il lampadario che però, date le sue caratteristiche, non è un elemento oscillante e non mi ha potuto fornire alcun tipo di indicazione valida. Allora ho guardato il gatto e il gatto... ha continuato a dormire placidamente arrotolato sui miei piedi.

Cresciuto a pane e documentari e ben consapevole che gli animali siano in grado di percepire i fenomeni sismici con un certo anticipo rispetto agli esseri umani, di fronte all'indolente e rassicurante sonnecchiamento del mio gatto, mi sono dunque tranquillizzato e ho archiviato il tutto come un esempio di quella che viene tecnicamente definita "pippa mentale".
Ho ripreso a dormire salvo scoprire più tardi che il terremoto c'era stato, che il mio gatto è un coglione e che, ancora una volta, il buon vecchio Bernie aveva ragione...

venerdì 7 ottobre 2016

Una parola al giorno (o quasi): SELFIE

C'è stato un mondo felice, non tanto tempo fa, in cui i selfie non esistevano, e le persone erano sé stesse.
Poi, un giorno, tutto è cambiato.
Per chi ama la fotografia (pur se in modo dilettantesco), come me, avere a che fare con i selfie è complicato e attraversa fasi estremamente conflittuali.


Non che io sia un tipo all'antica o abbia avversione per le mode. Per me ognuno è libero di fare quel che gli pare, e se sente l'esigenza di provare la "magnum" ammiccando al proprio cellulare, ben venga. 
Il problema è che i "selfiesti" infestano ogni luogo e finiscono per costituire una gran rottura di coglioni perché si arroccano davanti a panorami e monumenti, e non si schiodano fin a che non sono riusciti a immortalare la loro espressione da imbecilli in millemila selfie da spammare poi su instagram, facebook, sgaragnaus e tutti i social di questo beneamato cazzo. 
Un esercito di improbabili individui che, fino al fatidico momento in cui hanno impugnato un cellulare scoprendo con stupore e meraviglia l'esistenza della fotocamera anteriore, non erano stati sfiorati neanche lontanamente dalla remota idea di scattar foto e, forse proprio per questo motivo, mancano di discrezione e gusto ma, soprattutto, non si pongono il problema di essere invadenti "otticamente parlando". 
Sciamano come un'infestazione purulenta, intasano gli spazi, entrano nelle tue inquadrature "corrompendo" chiese, monumenti, piazze, acque azzurre e acque chiare, montagne verdi e i verdi pascoli di chi gli è stramuorto... il tutto inconsapevolmente e anche abbastanza inutilmente perché il selfie è oggettivamente BRUTTO come è inevitabilmnente brutto qualsiasi ritratto fatto con una lente grandangolare a pochi centimetri dalla faccia.
Mi si dirà che il selfie non vuole essere "bello", vuole solo catturare un momento, e io questo posso anche capirlo... ma che sia, appunto, un momento, non mezz'ora... cazzo.

mercoledì 5 ottobre 2016

Una parola al giorno (o quasi): OSSIMORO

ossimoro
  1. Figura retorica consistente nell'accostare, nella medesima locuzione, parole che esprimono concetti contrari.


Dovendo spiegare in modo immediato e facilmente comprensibile l'ossimoro, la prima cosa che mi viene in mente sono gli Stati Uniti Uniti d'America.
Gli USA, infatti, sono capaci di accostare, all'interno della locuzione "grande Nazione", concetti antitetici quali "libertà" e "schiavitù", tanto per fare un esempio, e convivere allegramente con entrambi.

 
Le contradizioni fanno parte della natura umana, forse è l'uomo l'ossimoro vivente più grande che esista. Ma gli Stati Uniti hanno dell'incredibile perché sono un miscuglio perfetto di spinta in avanti e all'indietro quasi simultanee: teatro di grandi battaglie per l'emancipazione dei diritti della comunità gay, lesbo e Transgender, molto più avanti dell'Italia (lo so non ci vuole molto) per quanto riguarda i matrimoni e le adozioni gay, ci si aspetterebbe che fossero quasi una specie di paradiso, se non per le minoranze etniche, almeno per chi vuole essere libero di innamorarsi di chi gli pare e vivere serenamente la propria sessualità. Invece sono anche il posto dove il vice di Trump, Mike Pence, ha firmato il Religious Freedom Restoration Act, in base al quale, prima che mezzo stato si rivoltasse costringendolo a una parziale revisione, per motivi religiosi ci si poteva rifiutare di fornire servizi (attenzione stiamo parlando di servizi commerciali, non servizietti) ai gay...

Se non è un ossimoro questo che cos'è?
Ah già, forse è solo stupida arrogante ignoranza...


domenica 2 ottobre 2016

Una parola al giorno (o quasi): Donna

Quello che segue è un discorso "pericoloso", quindi:

DISCLAIMER 
Invito tutte le donne a prenderla nel modo giusto e, a scanso di equivoci, ribadisco la mia condanna nei confronti di qualsiasi tipo di molestia sessuale ai danni della creatura più complessa, affascinante e meravigliosa dell'universo.

Detto questo...

Visitando la Reggia di Caserta, mi sono imbattuto nella meravigliosa fontana di Diana e Atteone che raffigura il celebre e sfortunato incontro tra il giovane cacciatore e la dea.

Per chi non conoscesse i dettagli della vicenda, eccoli riassunti qui di seguito:

Era una giornata calda, e la bella Diana aveva pensato giustamente di rinfrescarsi e sollazzarsi nelle acque della fonte Parteia. Mentre la bella dea sguazzava e scherzava col suo seguito di ninfe ridanciane... nuda come mamma l'aveva fatta, il povero Atteone, che se ne andava bel bello a caccia col suo branco di cani e a tutto pensava tranne che alle femmine o a eventuali "postegge", ebbe la sfiga di imbattersi in quell'imprevisto ma, si suppone, piacevole, teatrino.
Quando Diana si avvide del cacciatore e, soprattutto, del suo sguardo indiscreto che scivolava indesiderato e invadente sulle di lei voluttà carnose, si incazzò come solo una dea femmina sa fare e lo trasformò in un cervo. Atteone, con la prontezza e la perspicacia che contraddistingue spesso l'uomo che fa incazzare una donna, scappò senza neanche rendersi conto di essere diventato un cervo e i suoi stessi cani, non riconoscendo più il padrone, lo sbranarono.

Ecco... mi sembra che questo simpatico aneddoto sia esemplificativo del complesso rapporto tra uomini e donne.

Tutto qui.

sabato 1 ottobre 2016

Una parola al giorno (o quasi): ALIBI

Esiste una particolare categoria di guidatori che ritiene l’uso delle quattro frecce una sorta di “salva tutti” del codice della strada: se metti le quattro frecce, non sei solo giustificato, ma sei proprio autorizzato a fermarti un po’ dove cazzo ti pare, qualunque sia il motivo, e nessuno può azzardarsi a sollevare la benché minima obiezione perché le quattro frecce sono più potenti della bacchetta di Voldemort e dell’Unico Anello messi insieme.

Allargando il concetto alla vita quotidiana extrastradale, tutti noi abbiamo una specie di dispositivo mentale che sostituisce perfettamente quello automobilistico.  
E’ quel meccanismo pronto a scattare quando facciamo qualcosa di scorretto e che, al pari delle quattro frecce, ci fa sentire giustificati e autorizzati a comportarci da stronzi.

Ok, non pago le tasse, ma è colpa del governo.
Vabbè, sono passato davanti a tutti nella fila al supermercato, ma io ho i figli a casa e non posso perdere tempo.
E’ vero, ho messo le corna a mia moglie, ma lei mi trascurava.
Sì, ho lasciato quel vecchietto moribondo in piedi per tutto il tragitto della metro, ma a scuola mi sono stancato da morire.
In ufficio faccio i cazzi miei al computer, ma è colpa del capo che mi fa lavorare troppo.
Etc etc…

Ogni nefandezza ha pronto il suo alibi, basta premere il tasto al momento giusto, anzi, ormai siamo diventati così bravi che non bisogna premere niente, le quattro frecce si accendono spontaneamente, appena ce n’è bisogno… così possiamo dormire sonni tranquilli e mantenere la nostra coscienza immacolata come la neve.


Tic – tic –tic – tic - tic…

domenica 25 settembre 2016

Una parola al giorno (o quasi): STUPIDITA'

Proprio stamattina ho twittato che "Gli stupidi sono molto più pericolosi dei cattivi: sono più numerosi, agiscono senza una motivazione e, soprattutto, sono imprevedibili." [autocit.].
A questo proposito, e per avvalorare tale affermazione, vorrei portare l'esempio del primo grande stupido della storia dell'umanità: Caino.
Perché Caino? Qualcuno potrebbe obiettare che il primo stupido della storia sia stato Adamo, ma per quanto riguarda lo sfortunato progenitore del genere umano ritengo opportuno ribadire tutte le attenuanti del caso: quando una donna vestita di foglie di fico viene da te e ti propone di mangiare una mela insieme, tu le dici di sì, non ci sono santi (e neanche Dii) che tengano. Chiunque, al posto di Adamo, avrebbe fatto la stessa cosa, e non è una questione di stupidità ma di circolazione sanguigna.
Tornando al buon Caino, invece, qualcun altro potrebbe ritenere il suo un gesto di pura, assoluta cattiveria. Siamo di fronte al primo omicidio della storia, come si può parlare, dunque, di stupidità?
Orbene, per trarre le dovute conclusioni, rinfreschiamoci la memoria e rileggiamo la storia così come viene narrata nella genesi:

Adamo si unì a Eva sua moglie, la quale concepì e partorì Caino e disse: «Ho acquistato un uomo dal Signore». 2 Poi partorì ancora suo fratello Abele. Ora Abele era pastore di greggi e Caino lavoratore del suolo.
3 Dopo un certo tempo, Caino offrì frutti del suolo in sacrificio al Signore; 4 anche Abele offrì primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, 5 ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto. 6 Il Signore disse allora a Caino: «Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? 7 Se agisci bene, non dovrai forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, ma tu dòminalo». 8 Caino disse al fratello Abele: «Andiamo in campagna!». Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise. 9 Allora il Signore disse a Caino: «Dov'è Abele, tuo fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?». 10 Riprese: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! 11 Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello. 12 Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra». 13 Disse Caino al Signore: «Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono! 

Allora... io posso anche capire che quel perfettino di Abele avesse un effetto deleterio sulle appendici sferiche del fratello, e posso capire che Caino soffrisse di un enorme senso di inferiorità, ma per pensare di ammazzare tuo fratello e passarla liscia quando già sai che sarà Dio a occuparsi delle indagini bisogna essere davvero stupidi. 
Ancora ancora avrei capito, se l'azione si fosse svolta ai giorni nostri, nel centro di New York. In mezzo a tutto quel casino si sarebbe potuto quanto meno auspicare in un momento di distrazione del Padreterno, magari temporaneamente concentrato sulla possibilità che Trump diventi presidente degli Stati Uniti. Ma considerando che, all'epoca, la popolazione mondiale era di 4 persone compresa la vittima... l'astuto piano con cui Caino voleva liberarsi della concorrenza appare inevitabilmente il più idiota della storia.
Mentre cercava di discolparsi me lo immagino più o meno così:
"Caino, hai visto Abele?"
"Chi, io?"
"Cai', voi in due siete... se non trovo Abele a chi devo chiedere?"
"A me?"
"Esatto. L'hai visto?"
"Sono forse il guardiano di mio fratello?"
"Quello che sei non te lo posso dire... Caino?"
"Sì?"
<>"Quand'è che hai visto Abele l'ultima volta?"
"Ma non lo so, stava in giro con una capra... forse lo sa lei."
<>"Stai cercando di dare la colpa a una capra?"
"Ho sentito che alcune capre sono molto pericolose..."
"Che gli hai fatto?"
"Ma non è che gli abbia  proprio fatto qualcosa... si scherzava, lui stava dicendo che le mie offerte fanno schifo, che tra una braciata di carne e uno sformato vegano non c'è storia e allora io gli ho detto che tutta quella carne morta era inammissibile... poi lui forse potrebbe essere caduto, e io potrei aver inavvertitamente fatto cadere un sasso... un sassetto... chi andava a pensare che uno con la su testa di coccio si sarebbe fatto male! Sono innocente, lo giuro su Dio!"

Se Caino fosse stato cattivo, avrebbe agito in modo più scaltro. Avrebbe fatto in modo di far circolare brutte storie su Abele e le sue capre, gli avrebbe sabotato le offerte o, meglio ancora, avrebbe sacrificato al Signore dei supervegetali geneticamente modificati o chissà cos'altro si sarebbe inventato, ma, il succo della storia, è che se Abele avesse avuto un fratello cattivo, sarebbe morto di vecchiaia. Ecco perché gli stupidi sono pericolosi.

domenica 18 settembre 2016

Una parola al giorno (o quasi): PERCEZIONI


Tremila e passa anni fa, davanti a uno spettacolo del genere, avrei detto: "Cacchio è DIO! Questo è un SUO segno! Probabilemente vuole che costruisca un'arca, o che liberi il popolo eletto, forse devo uccidere il mio primogenito..."
Adesso, l'unico pensiero che mi viene in mente è: "cacchio non ho la reflex, devo scattare col cellulare..."
Non so.
Tremila e passa anni fa c'era più magia, anche senza Harry Potter. Però non c'erano le reflex e la vita media si aggirava intorno ai 25 anni. Forse è meglio oggi. Anche se la faccenda del primogenito... uhm...

sabato 30 luglio 2016

Una parola al giorno (o quasi): RISPETTO

DISCLAIMER:
A scanso di equivoci voglio anticipare che sto per dire una cosa politicamente scorretta e anche un po’ sgradevole che potrebbe suscitare dissenso e indignazione.
Nel caso voleste procedere col la lettura, rapportatevi a me, almeno per questo breve lasso di parole, come se fossi uno stand up comedian.
Una delle cose belle del fare stand up, infatti, è che puoi dire un po’ tutto quello che ti pare, senza essere per questo considerato una brutta persona.
Non è il caso mio ovviamente… ma facciamo finta che lo sia.

Il problema è che ormai viviamo in una società molto ipocrita dove, se dici le cose come stanno o, per meglio dire, come le pensi… senza filtri, sei fottuto.
Ci siamo trincerati dietro a una serie di eufemismi che vanno dal diversamente abile al posto di ritardato, operatore ecologico al posto di monnezzaro, Politico al posto di essere inutile che lavora poco e guadagna molto, tutto perché dire le cose come stanno è brutale…

Ma il fatto che non le diciamo, non vuol dire che non le pensiamo.
Ed è quindi per questo motivo che sono qui a fare la seguente affermazione:

I VECCHI HANNO ROTTO IL CAZZO!

Lo so, lo so. Non si dice. Non è rispettoso, ma è così. Alzi la mano chi, nell’intimità della propria testolina, non ha mai fatto questo pensiero almeno una volta, siamo sinceri, cazzarola!
Obiettivamente, in questa società, allo stato attuale, il vecchio è solo un essere inutile che consuma risorse… a partire dalla pensione.

Facciamo solo un paio di esempi, giusto per inquadrare la situazione:
A) Fila interminabile al supermercato:
“signorina ma lì c’era scritto offerta a 2 euro”
“Sì, ma l’offerta era sul pacco da 10 chili”
“Sì, ma lì c’era scritto, prugne in offerta”
“Certo signore, ma solo sulla confezione magnum”
“Ma io ho preso le prugne… perché non c’è l’offerta?”
Praticamente a una certa età loro registrano solo alcune parole chiave, ma non il rapporto che intercorre tra una parola e l’altra… “prugne” e “offerta” tutto il resto non conta. E così puoi passare anche tre ore  in fila, alla cassa, mentre la tipa cerca di spiegargli le cose… potrebbe anche morirci alla cassa, mentre aspetti… e tu vorresti che morisse, ma il vecchio tiene duro, e non muore, anche solo per farti dispetto.


B) Ingorgo apocalittico. Al centro di tutto c’è sempre un vecchio col cappello in testa e le mani strette sul volante della sua 126 lucida come se fosse appena uscita dalla concessionaria.
Non so se ci avete fatto caso. Se hanno il cappello in testa, è matematico che faranno qualcosa di assurdo, tipo imboccare una strada contro mano, o fermarsi in mezzo a un incrocio, ma quella del cappello è un’altra storia. Torniamo al vecchio in questione:
“Carmelina, ma per andare da Assunta dove devo girare?”
E Carmelina è morta già da 10 anni quindi col cazzo che gli può rispondere… e magari lui si incazza anche perché lei non risponde.
E’ morta Cristo! Stai parlando con una morta e ancora non ti hanno tolto la patente! Hai 90 anni, l’Alzheimer, le cataratte, ma non ti hanno tolto la patente, mentre se io mi faccio un giretto dopo aver mangiato un cioccolatino al rum e mi fermano per un controllo sono fottuto!

E poi non dovrei dire che i VECCHI HANNO ROTTO IL CAZZO?

E, guardate, faccio questa affermazione con la serenità di chi ha compiuto da poco i cinquantun’anni e si accinge, con un po’ di fortuna (o sfortuna a seconda dei punti di vista) a entrare nella categoria.

Sì, direte voi, ma il RISPETTO, dove lo mettiamo?

Ecco, bravi, veniamo alla questione del rispetto dovuto a chi è più grande, più saggio e più maturo di noi. Perché questa tiritera ha praticamente segnato e perseguitato la mia formazione fin da quando ero un bambino. E già allora mi chiedevo: ma perché devo rispettare un coglione solo perché è più grande di me?
Perché, se qualcuno è uno stronzo scassacazzo a vent’anni, glielo si può dire in faccia col sorriso sulle labbra, mentre se lo è rimasto fino allo scoccare dei 70, improvvisamente, diventa intoccabile?
Perché il rispetto è dovuto a prescindere, solo per una questione anagrafica?
Da dove ha origine questa strana e immotivata convinzione che i vecchi vadano rispettati?


Un motivo ovviamente c’è, e va ricercato nel nostro passato. Un tempo le cose erano molto diverse da oggi: i vecchi avevano una funzione sociale, erano la nostra memoria collettiva, erano fonte di consiglio, erano un punto di riferimento, mentre adesso sono stati sostituiti da wikipedia.
Ma, a parte l’avvento dei computer, cos’è che è cambiato veramente, che ha delegittimato l’autorità e l’importanza del vecchio nella nostra società?
Cos’è che l’ha trasformato da risorsa inestimabile in peso insopportabile?
Fino a un po’ di tempo fa non riuscivo proprio a capirlo. Mi dicevo “dev’esserci un motivo…”
E poi, improvvisamente ho avuto l’illuminazione!
Prima i vecchi avevano il nostro rispetto perché, arrivati a un certo punto, morivano e si toglievano dai coglioni.
Ed erano pochi quelli che riuscivano a diventare davvero vecchi.
Non era facile invecchiare sani e salvi, e se ci riuscivi, dovevi avere un merito che andava al di là dell’uso del prostatol e di vigorex plus.
Per arrivare a diventare vecchio ti dovevi fare il culo, dovevi essere davvero in gamba e questo sì che meritava rispetto.
Non bastava vegetare sul divano col telecomando… a cambiare canale come uno zombie…

Un vecchio di due secoli fa, davanti a un televisore su cui stava andando in onda, tanto per dire, la replica di Don Matteo, avrebbe preso la sedia e avrebbe sfasciato tutto, e poi forse, avrebbe avuto anche una crisi cardiaca, ma sarebbe morto da uomo libero, e io lo avrei rispettato, cazzo!

domenica 17 luglio 2016

Una parola al giorno (o quasi): CANI... (e PADRONI)

LETTERA APERTA ALLA SIGNORA COL CANE

Cara signora che porti a spasso il tuo amato amico a quattro zampe lungo gli accoglienti viali del parco di Capodimonte, per essere sicuro che nelle comunicazioni tra di noi non ci sia il benché minimo spazio per qualche spiacevole equivoco ci tengo a precisare che:
A)   So bene che tu sei assolutamente convinta che il tuo cane e, per estensione, tutto il mondo animale in generale, siano decisamente migliori del genere umano, capace di così tanta violenza gratuita e di una crudeltà fisica e mentale che nessun animale potrebbe mai eguagliare.
B)    Immagino dal tuo volto triste che la tua vita fino a questo momento si sia svolta all’insegna del “mai_una_gioia” in modo abbastanza piatto e solitario, con una notevole carenza di affetti famigliari e/o amicali e, soprattutto, senza relazioni amorose appaganti e durature.
C)    Sono abbastanza certo che tu non abbia figli perché, altrimenti, si sarebbero già estinti vista la tua scarsa cura per le più basilari norme igienico-sanitarie.
D)   Sono assolutamente convinto che il tuo cane sia una creatura meravigliosa. Non ho motivo di dubitare del fatto che abbia portato la luce nella tua scialba vita e che esso sia, a tutti gli effetti, l’unica ragione per cui ti alzi al mattino e vai a dormire con un beato sorriso di gioia, la sera…
Tuttavia è bene che ci chiariamo:


tu col tuo cane di merda puoi farci quello che vuoi, puoi anche andarci a letto se ti aggrada. Sono cazzi tuoi e io sono abbastanza di ampie vedute per ritenere che quello che succede tra un padrone e il suo cane siano fatti che non mi riguardano… 
MA NON PUOI FARGLI BERE L’ACQUA DIRETTAMENTE DALLA CAZZO DI FONTANELLA PUBBLICA DA CUI BEVIAMO ANCHE NOI!!!

Vaffanculo tu e il tuo cane.

Con simpatia.

giovedì 16 giugno 2016

Una parola al giorno (o quasi): PROSPETTIVA

Esiste una strana norma non scritta, ma nota a tutti, che regola il delicato rapporto tra i fruitori di un prodotto artistico e il prodotto stesso, si chiama la “proprietà transitiva delle qualità”, in base alla quale le peculiarità del personaggio si trasferiscono automaticamente all’attore che le interpreta. In senso più ampio lo stesso concetto vale per cantanti, ballerini, scrittori e altri artisti di vario genere. Chi canta canzoni così belle, non può che essere una bella persona, chi scrive romanzi così toccanti di sicuro è particolarmente sensibile, chi presenta in televisione ed è sempre così simpatico, sarà delizioso anche nella vita privata…
Beh ho una notizia da darvi: NON E’ COSÌ.
L’attore che interpreta così bene l’uomo dei sogni di molte donne, sullo schermo, può tranquillamente rivelarsi, in privato, un amante rozzo e insoddisfacente. L’eroe senza macchia che ha guidato gli scozzesi verso la libertà, può essere un razzista della peggior specie. Il pittore di quel quadro meraviglioso potrebbe anche essere un viscido pedofilo. Saper recitare, cantare, dipingere non implica, automaticamente, che si sia delle belle persone.
E se questo è vero… ed è vero, ovviamente vale anche il contrario.
Se sei un pezzo di merda sullo schermo, non vuol dire necessariamente che tu sia una brutta persona e, soprattutto, le azioni che si compiono quando si interpreta un personaggio non definiscono in alcun modo l’uomo che ha rivestito quel determinato ruolo.
Qualcuno, probabilmente, penserà che io stia dicendo un’ovvietà di proporzioni colossali.
Ma da quello si legge da anni in alcuni forum dedicati a UPAS o a altre serie televisive, e da quello che sta succedendo in questi giorni dopo la messa in onda dell’ultimo episodio di GOMORRA, si può facilmente capire che non è così. Che il mondo è ancora pieno di lobotomizzati cerebrolesi che non riescono a distinguere tra finzione e realtà.


Detto questo, sei stato grande Patsy.

lunedì 13 giugno 2016

Una parola al giorno (o quasi): PAROLE

L’altro giorno ho portato Luca al Paint-ball.
Ci siete mai stati?
E’ un simpatico posto dove ti danno un “affare” che non devi chiamare fucile, caricato ad aria compressa, che spara proiettili di vernice.
Una figata insomma.
Avercelo avuto ai miei tempi un posto così… cioè, io da piccolo giocavo a “cowboy e indiani” con tristissime pistole di plastica che facevano solo il rumore dello sparo,  e neanche sempre, perché i colpi spesso erano difettati.
Eppure il richiamo della battaglia era irresistibile! Insomma, benché sia profondamente pacifista dentro, apprezzo i giochi di guerra, quindi non mi scandalizzo e non faccio la morale a nessuno se, ogni tanto, ci si vuole divertire sparando proiettili di vernice in faccia a qualcuno.
Quello che però mi lascia perplesso, del paint-ball, è che, come nella stragrande maggioranza delle cose di questa società contemporanea, l’attività è regolata dalla più profonda ipocrisia.
Al giorno d’oggi puoi fare quello che vuoi, ma non devi chiamare le cose col loro nome, perché o è offensivo, o è inelegante o è sconveniente. Dobbiamo essere sempre politically correct.
Quindi il paint-ball diventa uno sport, non un gioco di guerra - e questo mi può anche star bene - ma, soprattutto, l’affare che ti danno in mano e che spara le pallottole di vernice non va chiamato fucile. NOSSIGNORE! E’ un marcatore.
E mentre ti fanno tutto il loro bel discorsetto, tu annuisci comprensivo e pensi:
“Ma sì, è giusto così! Diamo un bel messaggio a questi ragazzi, più sport e meno Gomorra… marcatori, quelli sono marcatori, non armi!”

Carico di pensieri positivi e di amore per l’umanità, sorridi all’istruttore che sta finendo di spiegare le regole ai ragazzini e poi gli fai un cenno di approvazione. Lui ricambia e conclude il discorso: “Ok ragazzi, allora, il primo gioco che facciamo si chiama Headshot, e si vince solo con colpi alla testa, poi facciamo agguato al presidente, in cui l’obiettivo è colpire il caposquadra degli avversari, poi un normale deathmatch, e il gioco della bomba!”
La musichetta celestiale va in frantumi e non puoi fare a meno di chiederti che senso abbia rifiutarsi di chiamare i fucili fucili, se poi devi usarli per sparare in testa alla gente…
Fatte le dovute proporzioni è un po’ come per i siti delle escort in cui c’è scritto, “Le tariffe si riferiscono solo alla mia compagnia, quello che poi succede in privato tra due persone che si piacciono, è un discorso a parte” come a dire: mi faccio pagare e te la do, ma le due cose non sono correlate… altrimenti sarei una puttana.

Le parole sono importanti, ma a volte dovremmo avere il coraggio di usare quelle giuste, non quelle più comode.


sabato 4 giugno 2016

UNA PAROLA AL GIORNO (o quasi): DIO

MEMORIE DI DIO
(appunti sparsi)


C’è una cosa che la gente non capisce di me.
Beh ce ne sono tante a dire il vero. Ed a rifletterci è abbastanza inevitabile, no? Come potreste capirmi?
Cioè… stiamo parlando di Dio. Colui che è, che è stato e che sarà. Il creatore di tutte le cose visibili e invisibili... scusate se è poco.
Di fronte a una tale grandezza è logico che l’intelletto umano vacilli, si perda e si confonda. Non ci vuole molto ad arrivarci eppure -  e questa è la parte buffa e anche un po’ patetica – il mondo è pieno di persone che pensano di potermi capire… se non è presunzione questa, ditemi voi!
Comunque, dicevo, c’è una cosa importante, la principale probabilmente, che voi proprio non capite di me, ed è la distanza: l’enorme sconfinata, incolmabile distanza emotiva che ci separa.
L’onnipotenza è qualcosa di abbastanza totalizzante.
Essere il principio e l’inizio di ogni cosa è... roba grossa ragazzi. Lo so, lo so, ne parlavamo un attimo fa, non potete capire, ma forse, potete provare almeno a immaginare l’enorme distanza che io sento da voi.
Nella vostra ingenua fiducia in me, voi pensate che io debba provare amore tutte le creature viventi. Probabilmente effettuate a livello istintivo una sorta di trasfert tra quello che, per esempio, provate per i vostri animali domestici e, di conseguenza, venite a fare le fusa nei vostri luoghi di culto anelando una mia benevola carezza convinti, abbastanza presuntuosamente, di meritarla. In fondo, se voi  amate profondamente e indiscutibilmente creature inferiori come i vostri cani, gatti, topi, furetti che dir si voglia, perché io non dovrei fare altrettanto con voi?
Beh la risposta è semplice: perché io sono Dio e voi non siete un cazzo.
C'è un bella differenza.
Voi siete molto simili ai vostri animali anzi, in alcuni casi, i vostri animali sono molto meglio di voi. Ma comunque, avete esigenze simili. Dovete mangiare, dormire, cacare, scopare… in altre parole voi potete capirvi. 
Ma non potete capire me e io, sinceramente, non sono interessato a capire voi per il semplice fatto che siete assolutamente e irrimediabilmente insignificanti.

Se riusciste ad accettare questo semplice concetto, i nostri rapporti sarebbero di certo più semplici e, probabilmente, più soddisfacenti, almeno per voi…

mercoledì 11 maggio 2016

Una parola al giuorno (o quasi): ESPIAZIONE

Seguendo la stoica e ardua camminata di una donna sui tacchi, ieri, mi sono reso conto che l’universo della moda femminile è profondamente plasmato e permeato dai valori della cristianità, perché la vanità più futile viene sì esaltata, ma anche immediatamente punita… con la scomodità. 

Vuoi gratificare il tuo ego attraverso il più frivolo autocompiacimento? Puoi farlo, ma espii immediatamente questa colpa devastando i tuoi piedi su trampoli da equilibrista, rischiando l’assideramento in succinti vestitini composti da pochi centimetri quadrati di stoffa, soffrendo per  crudeli e insinuanti cerette inguinali  e barattando il vizio della gola con quello dello “specchio”. 
Peccato ed espiazione vanno così di pari passo in un equilibrio quasi perfetto che ha qualcosa di… divino.

martedì 19 aprile 2016

Una parola al giorno (o quasi): L'ULTIMA VOLTA

L’ultima volta che ho detto che sarebbe stata l’ultima volta non è mai stata davvero l’ultima volta.
Le nostre vite si snodano lungo strade impervie disseminate di “ultime volte” quasi fossero pietre miliari  messe lì a ricordarci l’assoluta inaffidabilità dei nostri buoni propositi.
Del resto, quando sei davvero convinto di non voler far più una cosa, non hai bisogno di proclamarlo. 
Dire “questa è l’ultima volta” non è altro che un disperato e patetico tentativo di autoconvincerci che ce la possiamo fare, sventolato con ostentata pervicacia tutte le volte in cui siamo ben consapevoli di non potercela fare.
E’ l’ultima volta che mi accendo una sigaretta, è l’ultima volta che spendo lo stipendio in gratta-e-vinci, è l’ultima volta che faccio le tre di notte a guardare serie tv, è l’ultima volta che bevo l’impossibile e poi vomito anche l’anima, è l’ultima volta che mi metto a litigare con qualche coglione che manco conosco qui su fb, è l'ultima volta che gioco al multiplayer di Call of Duty.
Il problema di certe frasi è che non c’è alcuna proporzionalità tra la facilità con cui si possono pronunciare, non senza un certo beota autocompiacimento, e la reale devastante difficoltà di metterle poi in pratica, e la cosa peggiore è che, mentre pronunciamo le fatidiche parole, sappiamo benissimo che ci stiamo prendendo in giro da soli, ma non riusciamo a stare zitti. Non riusciamo a rinunciare a quel sommesso e inutile piacere di sopravvalutarci, almeno per qualche minuto.

Ma adesso basta! È l’ultima volta che dico che è l’ultima volta…

domenica 6 marzo 2016

Una parola al giorno: VERITA' (2) - per un pugno di clic

Nel film Eroe per Caso, Bernie Laplante (interpretato magistralmente da Dustin Hoffman) dice:
“[…] la gente non fa che parlare della verità, tutti sanno sempre qual è la verità: come se fosse carta igienica, o qualcosa di cui hanno la provvista nella credenza. Man mano che cresci, capisci che non esiste la verità: esistono solo le stronzate. Stratificate: uno strato di stronzate sopra un altro. E quello che fai nella vita, una volta cresciuto, è solo la scelta dello strato di stronzate che preferisci: che diventano le tue stronzate. Ecco. Capito?”

Questa frase mi ha sempre colpito perché, manco a farlo apposta, contiene una profonda verità e fotografa l’atteggiamento dell’utente medio di internet.
La rete, infatti, è un proliferare di verità. Tutti sono pronti a riempirsene la bocca (e la tastiera), rivelando le proprie verità al mondo che, immancabilmente, reagisce con indignazione, rabbia, orrore e chi più ne ha più ne metta.
Il più delle volte queste verità sono alla stessa stregua della carta igienica di cui parlava il buon Bernie Laplante. Sono bufale prive di alcun fondamento, sono stronzate stratificate messe lì solo per raccogliere consensi e, a volte, per esporre strategicamente qualcuno al pubblico ludibrio.
La cosa che puntualmente mi lascia allibito, però (e di cui ho già parlato in un altro post) è  che non ci vuole davvero niente per verificare una notizia. Bastano poche cliccate di mouse, un uso basico di google, e si può subito capire se la notizia sia vera o fasulla. Solo che nessuno si prende la briga di controllare perché nessuno resiste alla tentazione di scatenare il proprio urlo di indignazione. L’occasione per sfogare la propria rabbia e mostrare la propria superiorità ideologica e morale è tale che si tende a partire in quarta e crocifiggere il nemico, prima ancora di capire se sia effettivamente colpevole.
Ecco che i Subsonica accusano Morricone di plagio, Vendola afferma che i bambini devono fare sesso con gli adulti, i parlamentari si raddoppiano lo stipendio, lo IOR diventa azionista della Beretta (quella delle armi non quella dei salumi), il bambino viene fatto scendere dall’aereo per inaccettabili convinzioni animaliste, il delfino muore per colpa dei selfie etc etc…
E se fai timidamente notare che la notizia è falsa (o quanto meno è stata riportata in modo parziale e pretestuoso) vieni semplicemente ignorato da tutti i post che seguono. Non uno si prende la briga di leggere il tuo commento, perché sono tutti impegnati a inveire, bava alla bocca, contro l’universo intero.
Ora, a parte il fatto che se proprio vogliamo indignarci ci sono tantissimi motivi validi per farlo, senza bisogno di rincorrere le bufale di internet. La cosa triste è che questo fenomeno si autoalimenta e, un po’ alla volta, sta cambiando il modo di fare notizia che, da comunicazione obiettiva dei fatti, si trasforma lentamente in una sorta di “j’accuse” dei poveri. Il titolo sempre più d’impatto sempre più sensazionalista e ambiguo, per racimolare qualche clic in più anche quando non ce n’è alcun motivo. E noi, come tanti caproni, tutti dietro… a cliccare il nostro sdegno e a non fare un cazzo, convinti che l’aver postato la nostra faccetta arrabbiata su facebook sia più che sufficiente a compensare il culo attaccato al divano.
E, alla fine, mi sa che in questo modo sono tutti più contenti.