sabato 26 aprile 2014

Una parola al giorno (o quasi): EROTISMO

Girando per internet ho potuto riscontrare la sostanziosa presenza di blog a tema erotico. Le più diffuse caratteristica che accomunano questi interessanti spaccati di immaginario sono:

1-  la totale scollatura dalla realtà: avendo una percezione della vita sessuale chiaramente parziale e ridotta, gli autori di tali blog cercano di sublimare le loro frustrazioni erotiche sessuali proiettandosi in fantasie astruse e del tutto improponibili, popolate da protagonisti stereotipati, improbabili e spesso anche leggermente grotteschi, capaci però di performance in grado di far venire complessi di inferiorità anche a Rocco Siffredi ed Edward Cullen.


2 - l’uso di un italiano aulico e leggermente demodé. Qui il problema si fa serio. Il punto è che scrivere racconti erotici non è per niente facile, non solo per quel che si deve raccontare ma anche per come lo si deve raccontare. Poiché il blogger che blogga l’eros è consapevole di aver scelto un compito infido e complesso, spesso sceglie di optare per un linguaggio d’altri tempi e leggermente enfatico, abusando di metafore perché teme di sconfinare nel volgare e nel pornografico, mentre lui  (o lei) col volgare e col pornografico non vuole aver nulla a che fare perché, anzi, il porno gli (o le) fa schifo (non è vero naturalmente ma teme che questo sminuirebbe e renderebbe meno credibile la sua figura di blogger che blogga solo eros di prima qualità). Ecco che, quindi, questi scritti, abbondano di espressioni quali “si tuffò nel suo piacere” o “ella dischiuse i petali del suo fiore proibito”. Abbondano anche tutti i possibili sinonimi del membro maschile e della passerina, in quanto lo scrittore di cui sopra troverebbe ignobile scrivere “cazzo” e “fica” e deve arrabattarsi alla ricerca di espressioni alternative, impresa sempre più difficile man mano che il racconto prosegue (di qui il consiglio di scrivere racconti davvero brevi) e che, nei casi più disperati può giungere a scelte inquietanti tipo “virile turgore” o “alfiere del piacere” fino a “tronchetto della felicità” che ci fa capire come il povero narratore sia inevitabilmente giunto alla frutta, e noi con lui.

3 – la totale inconsapevolezza della propria drammatica inadeguatezza sia come narratori che come alfieri dell’eros.

4 – una quantità spropositata di fotografie glamour perché anche l'occhio vuole la sua parte, senza contare che se l'ormone è stato già smosso da un'immagine adeguata sarà poi più sensibile al fiume di cazzate che seguono subito dopo in forma scritta.

A puro titolo esemplificativo, provo a riprodurre un esempio di scrittura erotica da blog corredata di alcune note per meglio comprenderne tutti gli aspetti:



LACCI [1]

Il racconto inizia generalmente con qualche blanda considerazione sulle condizioni climatiche ed ambientali, un po’ per far vedere che si inizia in modo soft e non si è degli assatanati, un po’ per dar modo all’autore di sbizzarrirsi nella descrizioni di soli caldi, cieli tersi e brezze frizzanti.


Il protagonista, vittima di una consolidata e soffocante routine giornaliera, si trova, per un fattore imprevisto, ad uscire dagli schemi collaudati: per esempio, la sua decappottabile è dal meccanico e lui deve prendere i mezzi pubblici[2].

Salito sull’affollato autobus, il nostro eroe non può fare a meno di notare la sexy coprotagonista del racconto[3]. Lei è leggermente scarmigliata, ma proprio per questo ancor più sexy. Inizialmente è persa nei propri pensieri, la descrizione del suo abbigliamento può richiedere giorni, ma stringi stringi ciò che conta è che tette, culo, bocca e occhi sono quanto di più seducente si possa incontrare in un autobus affollato nell’ora di punta. A questo punto inizia un estenuante gioco di sguardi ed ammiccamenti che può protrarsi per pagine e pagine con divagazioni e approfondimenti sulla natura umana, su cosa sia quella forza misteriosa che spinge due sconosciuti a cercarsi, a inseguirsi e a concedersi l’un l’altro a dispetto di qualsiasi logica[4], nei casi più drammatici le divagazioni possono comprendere testi di canzoni, la ricetta delle cotolette e un metodo infallibile per vincere al lotto.

Al termine di questa fase di studio, lui comincia ad avvicinarsi incurante della calca[5] la raggiunge e cerca un contatto, in modo che lei possa accorgersi del virile turgore che preme impaziente contro il tessuto dei suoi pantaloni in cerca di libertà e appagamento[6]. Lei, dal canto suo, sarebbe portata istintivamente a ritrarsi, ma poiché nel suo profondo fondo è una femmina emancipata che non teme di prendere il piacere quando le capita a tiro[7] e di vivere l’eros in modo libero e disinvolto, dopo una brevissima esitazione, comincia ad assecondare i movimenti dell’uomo dando il via ad una specie di variante della lambada resa ancor più difficile dal movimento dell’autobus e dalla calca drammaticamente ignara che lì a pochi passi si stia verificando cotanta inebriante danza erotica. L’uomo, si sa, potrebbe già capitolare esplodendo il proprio immenso e inaspettato piacere dopo pochi strusciamenti facendo così una colossale figura di cacca, ma poiché non è uno sprovveduto e sa il fatto suo, si sottrae alla danza con un bieco sorriso malizioso. Lei, privata del tronchetto, vacilla improvvisamente incerta come un naufrago che sia stato privato della zattera… lo guarda senza capire e lui, sempre sorridendo, le dice di scendere alla prossima fermata.

Lei, ovviamente, esegue. Lui le fa cenno di seguirlo… e lei lo segue, fino ad un bar. I due si siedono. L’uomo è di poche parole, ma ogni frase buttata lì apparentemente a casaccio rivela una personalità sfaccettata e seducente, enigmatica e mistica, leggermente porcella ma anche suadentemente romantica, una e trina, bonaria e malandrina[8]… un po’ Bogart, un po’ Rourke, un po’ Clooney un po’ Pitt… lui, sostanzialmente, non esiste in nessuna delle galassie conosciute, è l’archetipo del principe azzurro con le dotazioni di John Holmes, ed è per questo che nessuna donna può resistergli.

La conversazione raggiunge punte epiche e surreali che non sono assolutamente in grado di ricreare, ma, sostanzialmente, ciò che conta è che il mago della seduzione e della metafora sta cucinando a puntino la sua preda. Solitamente, a questo punto della narrazione, l’intimo e prezioso roseo scrigno carnoso del piacere della  nostra coprotagonista si è già tramutato in uno dei laghi resi celebri da Valerio Scanu nell’ultimo Sanremo, ed ella non brama altro che essere presa con virile vigore prima che il cameriere noti la pozzanghera che si sta allargando in modo preoccupante sotto al tavolino. Ecco perché quando lui le chiede di sfilarsi le mutandine, lei non esita, ma esegue[9]. Lui prende il prezioso trofeo con estrema naturalezza, ci si pulisce gli occhiali e lo ripone in tasca. Si alza e le dice di seguirlo… vanno via, il più delle volte senza pagare il conto anche perché il cameriere sta chiamando l’Arin per chiedere l’immediato intervento di una squadra onde identificare la pericolosa perdita idrica che sta allagando il locale.

Il nostro eroe le fa strada in un sottoscala fatiscente, e poi in una pensioncina malandata che fa tanto New Orleans[10]. Poi la fa spogliare sapientemente mentre lui guarda e parla a vanvera, ed infine estrae[11] un assortimento di lacci di seta.

La donna esita: per la prima volta è come se realizzasse di
aver seguito un perfetto sconosciuto in una zona altrettanto sconosciuta della città, di avergli consegnato le proprie mutandine, e di essere sola, inerme in compagnia di uno che vuole legarla come un salame. Ma poiché la voglia di salame è nettamente preponderante rispetto al rischio di fare la figura del salame, ancora una volta ella soffoca ogni pensiero razionale e segue il flusso delle torbide emozioni che la stanno travolgendo. Lui a questo punto comincia a dissertare sui legami, e su come si possa essere prigionieri senza catene[12] e liberi solo quando si è legati. Di fronte a tale inoppugnabile sfoggio di eloquenza e di logica, la donna capitola. L’uomo la lega strusciando e stringendo sapientemente, infine libera l’araldo del piacere che sfida orgogliosamente la forza di gravità protendendosi fiero e pulsante, ed inizia la tiritera del te lo do, non te lo do… te lo faccio solo annusare, ecco ora entra… ops non ancora, fino a che lei non implora quasi tra le lacrime che l’araldo compia il suo compito, e l’araldo, finalmente fa ciò per cui è stato progettato, donando e prendendo un piacere immenso, come solo pochi hanno avuto la fortuna di provare nella propria vita.

In genere a questo punto, il lettore comincia a pensare di non aver mai vissuto veramente. Gli uomini provano un inquietante senso di inadeguatezza, le donne vorrebbero dare una testata sul naso del proprio compagno colpevole di non essere neanche lontanamente paragonabile al protagonista del racconto, ma chi ci fa più pena è l’autore (o l’autrice) del racconto, ed è a lui (o lei) che va il nostro pensiero e la nostra compassionevole considerazione, mentre dopo aver finito di stilare orgogliosamente il racconto erotico, ne rilegge le parti più significative, compiaciuto o compiaciuta che sia, e si appresta a postarlo perché il mondo ne goda appieno e possa dire “caspita, questo/a sì che sa cosa sono l’erotismo e il sesso…”

Ahimè.

PS. a piè di pagina, ci sono le note.



[1] i titoli rimandano spesso a qualche pratica erotica sadomaso o comunque a qualcosa si torbido e proibito

[2] ma un taxi no?

[3] il fatto che gran parte degli approcci si verifichino in posti assolutamente impraticabili, come un autobus affollato, la dice lunga sulla natura delle esperienze dell’autore. D’altro canto, nell’uso ricorrente dei mezzi pubblici  come scenario erotico va forse identificata la spiegazione principale del loro sovraffollamento.

[4] arrapamento forse?

[5] e del fatto che gli stiano sfilando il portafogli dalla tasca posteriore dei pantaloni.

[6] ho scritto proprio così? Non ci posso credere!

[7] soprattutto quando è sottoforma di un tronchetto della felicità di dimensioni considerevoli.

[8] qualcuno mi fermi perché potrei andare avanti così per delle ore…

[9] l’unica volta che ho provato a chiedere una cosa del genere mi sono preso una bottigliata in fronte

[10] lo squallore contrapposto all’estasi.

[11] non ci è dato di sapere da dove. Probabilmente si porta l’attrezzatura sempre appresso, casomai servisse… meglio essere previdenti, no?

[12] sembra il titolo di una canzone di Sanremo.