Mentre salivano lungo il
crinale occidentale della Moher Hill, Fergus fece vagare lo sguardo
sulla pianura sottostante, riarsa dal sole: erano quasi due mesi che
non pioveva.
Neanche una goccia di
maledettissima acqua.
I campi si erano
inariditi, i boschi si erano seccati, tutta la terra a sud delle
montagne stava agonizzando lentamente… e i suoi abitanti con essa.
Fergus alzò lo sguardo
verso l'alto asciugandosi il sudore che gli imperlava la fronte.
Il sole, nel cielo,
brillava come al solito: arrogante e indifferente.
Era ancora presto, eppure
il caldo afoso si era già disteso sulla regione stringendola nel suo
abbraccio soffocante.
Fergus avrebbe dato
chissà cosa per un po' d'ombra, ma il pendio era scosceso e privo di
vegetazione. Se avesse potuto scegliere, sarebbe salito dall'altro
lato. Lì qualche eroico albero resisteva ancora con ostinazione,
offrendo un minimo di riparo, ma lo straniero incappucciato aveva
troppa fretta e non aveva voluto sentir ragione.
«Se la strada più breve
è da ovest, da lì andremo» aveva detto.
Fergus aveva cercato di
obiettare, ma alla fine era lui a pagare. Venti pezzi d’argento per
raggiungere la vetta della Moher Hill, e altri dieci per scavare una
fossa. Trenta pezzi d’argento in tutto.
Per una somma del genere
Fergus ne avrebbe scavante venti di buche, e ci avrebbe seppellito i
genitori, senza battere ciglio, quindi... adesso gli toccava
arrancare sotto il sole, col sudore che gli infradiciava la casacca.
Benché fosse lui a
conoscere la strada era l'altro, l'incappucciato, a fare l'andatura.
Un'andatura fin troppo veloce per i gusti di Fergus che, dopo un po’,
aveva cominciato a pensare ad altro nel tentativo di ignorare quel
sole bastardo che gli alitava addosso il suo calore appiccicoso.
In fondo, era solo una
mezza giornata di lavoro. Mezza giornata e se ne sarebbe tornato con
un bel gruzzolo. Soldi buoni, conio delle isole. Argento di qualità
che avrebbe potuto spendere nella locanda del vecchio Forst, bevendo
birra gelata, e affondando la barba in mezzo alle tette di Emma
Walton.
Non era bellissima Emma.
Il vaiolo le aveva preso la giovinezza fin da piccola, facendosi
pagare in anticipo e con gli interessi, ma aveva gli occhi azzurri
che brillavano come gemme nella notte e quelle tette gigantesche e
sode con cui ti lasciava fare un po' di tutto, per il giusto prezzo.
Fergus si asciugò
nuovamente il sudore aggiustando la posizione della vanga che portava
sulla spalla.
Il terreno secco, sotto i
suoi piedi, si lamentava ad ogni passo. Ma oltre quel crinale, oltre
quella fossa da scavare, oltre quel sole cattivo, c'era una lunga
notte di bevute e di sesso.
A questo doveva pensare.
E con Emma finalmente
sotto di lui, tutto sarebbe stato più accettabile, anche quello
schifo di vita e il ritorno a Conbor County.
Se n'era andato quando?
Due o tre anni prima, per non fare la fine di suo padre.
Se n'era andato con
l'arroganza di chi sa già tutto e ha un piano ben preciso per
cambiare completamente la propria vita. Se n'era andato con uno zaino
pieno di gallette rancide, una borraccia di sidro e tante certezze.
Forse troppe…
Del resto, si era detto,
tutto era meglio che fare il contadino come suo padre.
Lo vedeva come si
ammazzava di fatica, ogni giorno a lottare con quella terra infame
che non regalava niente. Ogni sacrosanto giorno a sgobbare come un
mulo per cercare di trarne qualcosa di commestibile. A sbuffare sulla
zappa, a imprecare per la grandine, o per la siccità, o per i
parassiti. Con la schiena spezzata, la pelle bruciata e calli così
grossi sulle mani che, in quei rari momenti di umanità, quando il
torpore della fatica si ritirava quel tanto perché il vecchio si
ricordasse di avere un figlio, azzardando una goffa carezza, Fergus
si era sempre sottratto pensando che quelle mani non potevano
appartenere a un essere umano, che dovevano essere per forza a un
troll.
Io non sarò mai come
lui, si era detto, fin da piccolo. Io non la voglio fare
questa vita.
Per fare il contadino
devi essere o troppo forte o troppo debole. E Fergus non aveva né la
rassegnazione del padre, che era in grado di subire dalla vita i
calci più duri e spietati, senza neanche formulare un vago pensiero
di ribellione. Senza osare immaginare anche solo l'idea di una vita
migliore. Né la forza eroica di sua madre, che si era sposata con
quell'uomo e gli viveva accanto sostenendolo da chissà quanti anni.
Che aveva visto la propria giovinezza dissolversi nel giro di un paio
di stagioni, e trasformarsi in una durezza granitica, contro cui
tutto si infrangeva, la morte del primogenito per la febbre nera, la
perdita della stalla per l'incendio, la perdita della speranza,
quando il suo uomo si era progressivamente incurvato sotto la fatica
fino a trasformarsi in un'ombra che andava e veniva dai campi, senza
più alcuna espressione negli occhi.
Morto dentro, già da
chissà quanto, mentre il suo corpo si trascinava avanti, più per
abitudine che per volontà.
Tutto questo avrebbe
dovuto consumarla dentro. Invece sua madre si svegliava col sorriso
ogni mattina. Perché ogni nuovo giorno era un nuovo giorno, regalato
dagli dei a chi sapeva credere ancora in loro. E anche se lei aveva
poco più di niente, anche quel “poco più di niente” le bastava,
perché lei amava la vita per ciò che era, nonostante ogni giorno
fosse impastato del sapore acre e amaro della morte.
Fergus non ne era sicuro,
ma probabilmente era stato più a causa sua, che non per la debolezza
del padre, se aveva deciso di andarsene. Se un giorno si era reso
conto che poteva accettare tutto tranne quella inutile e innaturale
vitalità della madre.
E comunque, anche se le
cose erano andate com'erano andate, non rimpiangeva niente: almeno
lui ci aveva provato!
Certo, era partito con
altre aspettative.
Aveva dei sogni lui, mica
come gli altri falliti del paese, a cui bastava sopravvivere. Lui era
uno che il cervello lo sapeva far funzionare.
Stava per succedere
qualcosa ad est. L'Elagon e il Lagin si stavano contendendo un pezzo
di terra, come cani selvatici con un osso di pollo.
A lui non gliene fregava
niente delle complicate beghe dinastiche. L'unica cosa chiara, in
fondo, era che sia dall'una che dall'altra parte potevano far valere
una linea di successione debole, ma inconfutabile. Avevano gli stessi
diritti e nessun desiderio di trovare un compromesso, il che poteva
voler dire una sola cosa: guerra. E quando c'è la guerra c'è
possibilità di arricchirsi, se si è abbastanza spregiudicati.
Naturalmente Fergus non
aveva nessuna voglia di combattere. Non era uno stupido e non
inseguiva la gloria.
La gloria va bene per i
nobili, che hanno già avuto tutto dalla vita e possono morire nel
fango inseguendo qualcosa di completamente inutile.
La gloria è per gente
che non ha mai dovuto lottare per sopravvivere.
Lui era un uomo pratico.
Gli interessava altro... i soldi, la vita facile, qualche comodità,
e le tette di Emma Walton.
Però la guerra offre
molte opportunità anche a chi non vuole combattere. Basta avere un
po' di intraprendenza… e non avere paura di sporcarsi le mani.
Fergus questa paura non
l'aveva mai avuta.
Meglio sporcarsi le
mani così, che raccogliendo il letame delle vacche, si diceva.
Così era andato all'est,
dove la guerra si stava lentamente insinuando nella testa e nei cuori
delle persone, come qualcosa di assolutamente inevitabile. Dove si
respirava odore di violenza e di morte e gli sguardi delle persone si
erano già induriti di cattiveria e di odio.
Era andato a est per
cambiare la propria vita e giocarsi il tutto per tutto con il
contrabbando e il mercato nero.
Ma la guerra - che pure
tutti aspettavano - era divampata improvvisa, più velocemente di
quanto si aspettasse, e lui ci si era ritrovato in mezzo finendo per
perdere tutto il carico di provviste che avrebbe dovuto rivendere a
peso d'oro.
Se era ancora vivo,
probabilmente, lo doveva solo a Owein dei Corvi, che aveva guidato i
quattro straccioni della milizia irregolare del Lagin contro il fior
fiore dell'esercito dell'Elagon... e aveva vinto, ricacciando
indietro le armate nemiche.
A Fergus non importava
niente di Owein, del Lagin, dell'Elagon. Tutto quello che gli
importava l'aveva perso cercando di guadare lo Shannon in piena. Gli
restavano solo la rabbia, una daga corta, e il rimpianto per quello
che sarebbe potuto essere, se...
La Guerra era finita
com'era iniziata e lui era rimasto con un pugno di mosche. Così
aveva fatto quello che poteva. Qualche lavoro sporco ai danni di
questo o di quello. Sempre roba su commissione, pagata di nascosto,
nell'ombra di qualche bettola, con contrattazioni sotto voce fatte di
sguardi furtivi e parole crudeli, prive di compassione.
Ma gli uomini con cui
aveva avuto a che fare, laggiù, erano il peggio della feccia
sopravvissuta alla guerra. Erano gente che aveva perso la propria
umanità sul campo di battaglia, o strisciando lontano da esso in fin
di vita.
Fergus non era come loro,
anche se per un po' aveva finto di esserlo.
Aveva giocato al loro
gioco per disperazione, ma non aveva retto fino in fondo.
Evidentemente non aveva perso abbastanza sul fondo melmoso dello
Shannon...
E così alla fine era
ritornato.
Le parole erano proprio
quelle. Gliele aveva dette Emma Walton quando lo aveva visto entrare
nella locanda del vecchio Forst.
Lo aveva guardato con
quei suoi occhioni grandi e celesti e poi gli aveva detto: «E così
sei tornato...»
Lo aveva detto a bassa
voce, ma a Fergus era sembrato un urlo. Quindi aveva annuito appena,
cercando di ingoiare il fastidio che gli stringeva la gola. Cercando
di masticarlo e ingoiarlo, quel fastidio, e spedirlo giù dove
avrebbe fatto ancora male, ma dove nessuno avrebbe potuto vederlo.
“E così sei
tornato”.
In fondo non si trattava
che l'enunciazione di un dato di fatto.
“E così sei
tornato”.
Una verità
incontrovertibile che pure suonava come un'accusa e una condanna.
Era andato via, solo un
paio di anni prima, con le spalle larghe, il torace gonfio, l'aria
sprezzante... ed era tornato curvo, impolverato, segnato...
sconfitto.
E non ci sarebbe, in
fondo, niente di male nella sconfitta. Se hai lottato fino alla fine,
la sconfitta è nelle cose della vita.
Ma tutti ricordavano fin
troppo chiaramente quello che aveva detto qualche giorno prima di
partire. Quando aveva sputato la sua inappellabile sentenza su tutta
Conbor County.
E la gente lì, poteva
non avere orgoglio, come aveva detto lui, ma aveva senz’altro
memoria.
Era per questo motivo che
Fergus aveva esitato così tanto, prima di ritornare.
Perché sapeva che
avrebbe avuto quegli occhi addosso e perché la sconfitta è nelle
cose della vita, è vero, ma è comunque un marchio che ti porti
dietro per sempre, e la compassione si vela sempre di biasimo, dopo
un po', soprattutto se l'ultimo ricordo che hai lasciato, alle tue
spalle, è stato uno sprezzante proclama di superiorità.
Ecco perché si era
aggrappato a quel carico con tutte le sue forze, cercando
disperatamente di strapparlo al fondale fangoso dello Shannon,
rischiando quasi di affogarci, in quell'acqua marrone. Ecco perché...
strisciato nei bassifondi di Navan Fort, aveva mentito, rubato,
ucciso e fatto tutto il possibile per cercare di recuperare almeno
una parte di quanto aveva perso, fino a che non si era dovuto
arrendere all'evidenza del proprio fallimento.
Così si era preparato un
bel discorso su quanto la vita faccia schifo e si diverta a prendersi
gioco delle persone, punendo senza pietà chi cerca di alzare la
testa e di trascinarsi fuori dal fango della miseria.
Di come il destino se ne
fotta dei sogni e dei desideri degli uomini, e giochi con le loro
vite come se fossero pedine di Fidchel. Perché, alla fine, la
verità è che i poveracci devono restare poveracci, devono morire
nel proprio sudore, spezzandosi la schiena senza neanche provare a
cambiare la propria sorte, e se ci provano vanno ricacciati nel fango
con la forza.
La vita, Fergus ormai ne
era convinto, era solo uno scherzo cattivo… e solo la morte, che
incuteva tanto timore, dimostrava in realtà un po' di amore per
quelle patetiche creature che tanto si affannavano sulla faccia della
terra, rendendo tutti uguali nel suo ultimo abbraccio.
Era un discorso per certi
versi anche sensato, costruito con molta attenzione, ma alla fine, in
ognuna delle parole che lo componevano, si poteva leggere la verità;
e la verità era che aveva fallito e che, per quanto elaborate, le
sue parole di scusa non potevano ingannare nessuno.
Fergus se ne era reso
conto quando aveva incrociato il carrettiere che portava il grano
Conbor County al castello di Waterford.
Amish Reed, così si
chiamava il vecchio. Era stato il primo volto familiare incontrato da
Fergus sulla via del ritorno.
«Che ci fai qua?» gli
aveva chiesto, sputando a terra un grumo di catarro.
Fergus aveva tirato un
lungo sospiro e gli aveva sciorinato tutta quella litanìa di scuse
così meticolosamente preparate, e mentre lo faceva si era sentito
come probabilmente doveva apparire ad Amish: un patetico buffone.
Così, quando Emma lo
aveva guardato con quei suoi occhi celesti, feriti, e gli aveva
detto: «sei tornato, alla fine...» Fergus non aveva risposto.
Gliene era mancato il coraggio. Si era limitato a incassare la testa
tra le spalle e ad andarsi a sedere il più lontano possibile,
cercando di mimetizzarsi tra le panche di legno e i tavoli segnati
dall’usura.
Lì lo aveva trovato lo
straniero incappucciato.
Era un tipo di poche
parole quello, uno riservato. Ma anche così, anche se si nascondeva
dietro ad un cappuccio e un silenzio fatto di monosillabi, una cosa
era chiara: veniva da fuori e sotto la polvere che ricopriva quasi
interamente il pesante mantello nascondeva una tunica di tessuto
pregiato, una cintura ornata di finiture preziose e modi da gran
signore.
Non era difficile
immaginare la sua provenienza. Doveva essere un secondo o terzogenito
di buona famiglia, forse il bastardo di qualche lord del sud, ben
educato, molti soldi, quell’aria di superiorità del cazzo di chi,
a casa sua, era abituato a comandare. E aveva un segreto da
nascondere.
Non c'era altro motivo
per tenere quegli occhi seppelliti nel cappuccio, soprattutto con
quel caldo.
Gli occhi di una persona
sono tutto, diceva sempre il padre di Fergus.
Tu guarda la gente negli
occhi e saprai cosa aspettarti da loro.
Non fidarti di chi non
regge il tuo sguardo.
Così diceva suo padre.
A suo padre sarebbero
piaciuti gli occhi di Emma, con quel celeste accesso così sincero.
Due occhi così belli e profondi che quasi ti facevano dimenticare la
pelle rovinata dal vaiolo.
E, ovviamente, lui non
avrebbe mai accettato un lavoro offerto da uno che teneva i suoi
occhi sempre nascosti nell'ombra di un cappuccio, anche quando,
fuori, il caldo ti soffocava e ti stringeva la gola.
Ma suo padre non capiva
nulla. Lui non era mai tornato sconfitto, perché non era mai andato
da nessuna parte. Era solo un contadino zappaterra, e probabilmente
questa siccità lo stava uccidendo come stava uccidendo tutto il
paese,
Lui non avrebbe mai
accettato quel lavoro... e sarebbe morto.
Fergus sarebbe
sopravvissuto ancora una volta, come aveva sempre fatto. Come aveva
fatto in mezzo a quella guerra di ricchi bastardi. Come aveva fatto
in mezzo alle acque dello Shannon. Come aveva fatto nei sobborghi
puzzolenti di Navan Fort, dove aveva mangiato carne di topo e chissà
cos’altro pur di non morire di fame.
Fergus era uno che non
moriva.
Questo era quello che
contava.
Quanto al forestiero, non
diceva tutta la verità questo era evidente. Non era il mercante che
diceva di essere, e forse portava guai... ma pagava molto bene, e per
Fergus era più che sufficiente.
Con quei soldi si sarebbe
pagato qualche notte con Emma.
Era sicuro che del buon
argento e qualche parolina dolce avrebbero fatto sparire quel broncio
e gli ultimi strascichi di rancore dal suo sguardo corrucciato.
Perché ce l’avesse
così tanto con lui, poi, restava un mistero, anche se, in realtà,
Fergus un’idea se l’era fatta.
Era stato poco prima
della sua partenza.
Una sera di quelle fredde
e umide… quando la siccità era ancora lontana e inimmaginabile.
La pioggia cadeva da
giorni, e i sentieri erano così infangati da sembrare ruscelli di
fango.
Tornare a casa con quello
schifo di tempo era impensabile. Così Fergus si era rintanato nella
locanda del vecchio Forst, aveva ordinato tre o quattro boccali di
ippocrasso e aveva fatto sedere Emma sulle ginocchia.
Poi, mentre il vino gli
scaldava lo stomaco, aveva lasciato che il contatto del bel corpo
tondo e sodo di Emma gli scaldasse l’anima… l’aveva
mordicchiata sul collo mentre con le mani esplorava ciò che Emma
nascondeva al di sotto della gonna.
Lei un po’ l’aveva
lasciato fare, ridendo divertita, un po’ si era ritratta
guardandolo con quegli occhi celesti, ben sapendo che Fergus non
riusciva a restare indifferente a quello sguardo.
Così avevano
mercanteggiato un po’, come al solito, solo che quella notte Fergus
era proprio a corto, e gli mancavano dieci pezzi di rame per
raggiungere la cifra necessaria.
Dieci monete di rame che
facevano la differenza tra un ritorno a casa nel fango, sotto la
pioggia, e una notte tra le cosce calde e accoglienti di Emma.
Che scelta aveva?
Così si era messo a fare
il cretino, sbaciucchiandola e dicendole parole dolci come il miele a
proposito del fatto che lei era speciale e che tra loro due c’era
qualcosa di diverso che andava al di là degli affari tra cliente e
puttana.
Era il solito copione che
si ripeteva.
Fergus diceva le cose che
andavano dette, fingendo di essere sincero. E lei lo ascoltava,
fingendo di crederci.
Alla fine lo aveva preso
per mano, sorridendo, e se l’era portato su in camera, con aria
complice.
Emma era meglio di una
coperta di lana.
Il suo abbraccio e il suo
corpo erano morbidi e accoglienti. Il suo respiro era un soffio caldo
e passionale. Le sue labbra erano rosse come il fuoco e dolci come
marmellata fresca.
Stringerla a sé,
baciarla... possederla, mentre lei si avviluppava a lui con le
proprie gambe era rassicurante e inebriante al tempo stesso.
Quella notte si era
dilatata, mentre il fuoco del braciere scoppiettava in un angolo
della stanza, e lei gli aveva permesso di restare fino all'alba,
senza nessun sovrapprezzo.
La mattina dopo Fergus
l’aveva salutata con un bacio frettoloso e una pacca sulle natiche.
Poi, qualche giorno dopo, era partito per inseguire il miraggio di
una nuova vita senza darle alcuna spiegazione.
Qualche volta, nei due
anni successivi, Fergus aveva ripensato a Emma e si era chiesto se
avesse agito bene nei suoi confronti.
Forse avrebbe dovuto
spiegarle che se fosse rimasto sarebbe impazzito e che non era per
lei, anzi, lei era l’unico motivo per cui sarebbe potuto restare,
solo che... non era abbastanza.
Forse se le avesse
parlato sinceramente Emma avrebbe capito.
Ma perché avrebbe dovuto
darle delle spiegazioni? In fondo era solo una puttana, no?
Non c’era niente, tra
di loro, se non qualche bugia detta per aiutarla ad allargare le
gambe.
Qualche bugia detta in
modo troppo convinto ma… faceva tutto parte del gioco, e lei lo
sapeva. Lei, avrebbe dovuto saperlo, cazzo!
Cosa aveva creduto? Che
il giorno dopo lui avrebbe parlato col vecchio Forst chiedendogli la
mano della figlia? Che si sarebbe portato a casa la puttana della
locanda?
Certo, a pensarci bene,
era possibile che le avesse promesso qualcosa del genere, ma era
stato il vino a parlare; il vino e la paura di quel freddo così
simile alla morte.
Fergus annuì tra sé e
sé.
Glielo avrebbe spiegato,
quella sera stessa, con i soldi d’argento del forestiero. L’avrebbe
pagata il doppio, se necessario, e si sarebbe fatto perdonare.
Intanto l’incappucciato
aveva affrettato il passo.
Ormai, a poche centinaia
di metri dalla cima della collina non era più possibile sbagliare
strada e quindi, non avendo più bisogno di aspettare le indicazioni
di Fergus per procedere, si era fatto prendere dalla foga.
Per Lugh! Ma non lo
sente il caldo? Si domandava Fergus arrancandogli dietro.
Quando arrivarono in cima
alla Moher Hill, lo straniero si fermò improvvisamente, come se di
colpo le energie che lo avevano sostenuto durante la salita fossero
venute meno.
Fergus gli si affiancò.
Fece scivolare giù la pala, dando un po' di sollievo alla spalla che
l'aveva sostenuta fino a quel momento e lo guardò.
«Dove dobbiamo scavare?»
«Non lo so» rispose
l'incappucciato.
Fergus lo guardò
incredulo.
«Che vuol dire?»
«Vuol dire che non lo
so» ribadì l'altro.
Fergus provò una sorta
di rabbia sorda e pulsante che si concretizzò nel desiderio di
spaccargli la faccia con il badile. Tuttavia il desiderio restò tale
senza trasformarsi a sua volta in azione. Fergus rimase lì, con le
mani serrate sull'asta di legno, in attesa di una spiegazione.
«Ci dev'essere della
terra smossa, da qualche parte qui intorno» spiegò il forestiero.
«E’ lì che dobbiamo scavare...»
«Della terra smossa...»
ripeté Fergus a mezza voce, cercando di dare un senso a quelle
parole.
«Proprio così, della
terra smossa. E prima la troviamo, prima scaviamo e prima avrai i
tuoi soldi» tagliò corto il forestiero avviandosi. «Quindi togliti
quell'espressione da idiota dalla faccia e datti una mossa...»
Fergus ingoiò la rabbia
e gli andò dietro.
Una caccia al tesoro,
pensò, mi ha portato sulla cima della Moher Hill per farmi
fare una stramaledettissima caccia al tesoro, sotto al sole...
Ecco perché non era
voluto venire al tramonto, col fresco. Cercare la terra smossa alla
luce delle torce avrebbe avuto senso quanto cercare di prosciugare le
acque dello Shannon a sorsate. Cosa che Fergus aveva quasi cercato di
fare, senza molto successo.
Quando finalmente
trovarono il loro obiettivo, il forestiero si fermò un'altra volta,
immobile, con lo sguardo - se ce n'era uno al di sotto di quel
cappuccio - puntato su quella ondulazione del terreno, quasi ne
avesse paura.
Fergus si chiese cosa
fosse seppellito lì.
Cosa aveva spinto quello
strano uomo a inerpicarsi sotto al sole e a offrirgli ben trenta
monete d'argento per scavare una fossa?
Che poteva esserci di
così importante, su quella collina dimenticata da Dio e dagli
uomini?
Dei soldi? Il bottino di
qualche rapina? Un vecchio tesoro dei predoni del Nord o,
addirittura, qualche cimelio degli elfi, che erano vissuti lì
cinquecento anni prima?
Un'arma? Una spada
dall'elsa finemente intarsiata e dalla lama incisa con i caratteri
runici del potere?
Fergus aveva fantasticato
molto sul contenuto di quella fossa e su come si sarebbe comportato
una volta disseppellito l'oggetto misterioso.
Erano soli, lì in mezzo
al nulla.
Nessuno sapeva di loro.
Nessuno sapeva di lui.
Una volta dissotterrato
il tesoro, la fossa sarebbe stata già lì, pronta ad accogliere il
suo nuovo occupante, e lui sarebbe tornato alla locanda ricco.
Fergus si umettò le
labbra pensieroso, saggiando con la mano l’impugnatura della daga
che gli pendeva lungo il fianco destro.
Non era un acciaio
pregiato, ma sarebbe comunque stato più che sufficiente per uccidere
lo straniero… a meno che non indossasse una mezza cotta di maglia
al di sotto del mantello e della tunica. Era questo l'interrogativo:
lo straniero era un guerriero?
Sarebbe morto in silenzio
o avrebbe lottato?
Fergus non era un
combattente, era un vigliacco. Non aveva problemi a uccidere qualcuno
se ne valeva la pena, ma doveva trattarsi di un colpo facile, veloce
e sicuro, perché la presa sulla daga, già lo sapeva, non sarebbe
stata salda. E se non avesse avuto successo al primo colpo sarebbe
stato lui a morire e quella fossa già pronta, in mezzo alla
desolazione della Moher Hill, sarebbe diventata la sua tomba.
Trenta monete d’argento
sicure, o la possibilità di un intero tesoro?
Era questo il dilemma.
Se lì sotto ci fosse
stato qualcosa di davvero prezioso avrebbe dovuto rischiare. Non
aveva scelta.
E una volta ucciso lo
straniero, allora forse sì, forse avrebbe potuto perfino mantenere
le promesse fatte a Emma Walton.
Perché la verità era
che, in tutta la sua vita tormentata e rancorosa, in tutti quei
momenti passati a sputare sentenze su suo padre e a immaginare di
fuggire da quel letamaio, gli unici momenti di pace, gli unici
sprazzi di un qualcosa che, sì, forse avrebbe potuto definire aliti
di felicità, li aveva passati nell'accogliente abbraccio di Emma.
Era una puttana, è vero.
Del resto lui era un bastardo, bugiardo, ladro e assassino. Non
poteva certo permettersi il lusso di giudicarla, ma forse, chi lo sa?
Avrebbe potuto amarla...
Forse.
Se l'altro non avesse
indossato una mezza cotta di maglia...
Dal passo e dall'andatura
che avevano tenuto, lungo tutto il cammino, Fergus avrebbe detto di
no.
Era difficile con quel
caldo, mantenere un'andatura così spedita.
Ma chi poteva dirlo con
certezza?
Alcuni nobili ci
passavano la vita con la cotta di maglia addosso, alla fine diventava
quasi come una seconda pelle. Alcune maglie erano costituite da
anelli così piccoli e così finemente intrecciati da risultare
sottili quasi come il tessuto che le ricopriva.
Fu così che Fergus
cominciò a scavare con uno stato d’animo incerto.
Non sapeva cosa augurarsi
e questa incertezza lo faceva sudare ancor più del caldo.
Poteva essere l’occasione
della sua vita… o della sua morte. In entrambi i casi si sarebbe
sistemato per sempre.
Forse, tutto sommato,
pensò, è meglio che non ci sia niente lì sotto.
Avrò altre occasioni
meno rischiose, prima o poi. E comunque, ho abbastanza soldi per
comprarmi il perdono di Emma e i suoi baci, per almeno qualche notte…
Alla fine, gira e rigira,
il pensiero tornava sempre a lei, a Emma.
Questo era un fatto che
cominciava a metterlo a disagio.
Era come se, alla fine,
una parte delle bugie che le aveva sussurrato a letto fossero più
vere di quanto lui stesso non volesse ammettere.
Non si è mai davvero
bugiardi quando si è ubriachi, dicevano i vecchi del villaggio.
Fergus aveva cominciato a
capirlo quando le acque dello Shannon si erano richiuse su di lui,
togliendogli con gelida cattiveria l'aria dai polmoni e tirandolo
giù, verso quel fondo melmoso.
In quel preciso momento,
mentre pensava di morire, Fergus avrebbe potuto pensare a qualsiasi
cosa. A come aveva umiliato suo padre, prima di andare via, o al
sorriso stanco e rassegnato di sua madre, cristallizzato in una
smorfia priva di stupore. Al primo uomo che aveva visto morire,
impiccato, quando aveva solo tre anni, che forse lo stava aspettando,
con quel collo spezzato e storto, dall’altra parte, per fargli da
guida o semplicemente per deriderlo. O alla prima donna che gli aveva
fatto vedere il proprio fiore e gli aveva insegnato a coglierlo, alla
festa di Beltaine.
Avrebbe potuto pensare a
suo fratello, portato via dalla febbre nera a cinque anni, o al
cucciolo di cane che aveva cresciuto di nascosto, dividendo con lui
le scarse provviste di casa, fino a quando, una sera, lo aveva
trovato mezzo sbranato da una banshee…
Ma l’unica cosa che gli
era venuta in mente erano stati gli occhi celesti di Emma Walton, che
non avrebbero pianto la sua morte, perché non avrebbe mai saputo che
fine aveva fatto.
E alla fine,
probabilmente, anche se non lo voleva ammettere, era questo il motivo
per cui era ritornato a Conbor County, tra tanti posti, proprio lì,
dove tutti avrebbero saputo del suo fallimento. Per rivedere quegli
occhi.
La pala urtò qualcosa di
duro, immediatamente al di sotto dello strato di terriccio.
«C’è qualcosa…»
disse Fergus guardando interrogativamente l’altro.
L’incappucciato lo
scostò bruscamente e si inginocchiò ad esaminare le assi di legno
appena al di sotto del terreno.
Le toccò, con cautela,
quasi con cura, esaminandole con attenzione. Poi si tirò su
annuendo.
«E’ questa» disse,
«continua ma fai piano».
Fergus continuò a
scavare portando alla luce una cassa di legno lunga quasi un metro e
settanta.
Una cassa simile ad una…
bara?
Su ordine dello straniero
scavò tutt’intorno, in modo che l’intera superficie superiore
fosse libera. A quel punto, l’incappucciato prese un pugnale e
cominciò a scostare le assi che la chiudevano.
Fergus trattenne il
respiro in attesa di scoprire il mistero che si celava in quella
fossa, scavata sulla cima della Moher Hill.
La mano si strinse
istintivamente sull’impugnatura della daga… poi, le assi vennero
via e l’incappucciato trasse un profondo respiro strozzato,
indietreggiando, quasi l’avessero colpito.
All’interno della cassa
c’era una donna.
Era vestita con una
tunica bianca, di cotone semplice, privo di qualsiasi ricamo. Aveva
capelli biondi lunghi che incorniciavano il volto più bello che
Fergus avesse mai visto.
Gli occhi erano chiusi,
le labbra, dal colore violaceo, atteggiate in un’espressione di
serena rassegnazione.
Una bellezza nobile e
tragica che la morte, pur con tutta la sua prepotente violenza, non
aveva osato scalfire, limitandosi a cristallizzarla in un’immagine
immobile e struggente, per l’eternità.
«Chi…?» balbettò
Fergus confuso allentando la presa sulla daga.
«Si chiamava Eleanor ed
era la moglie del Duca di Sandish» disse l’incappucciato.
«Com’è morta?»
domandò ancora Fergus, incapace di distogliere lo sguardo dalla
donna.
«E’ morta d’amore…»
rispose lo straniero con la voce velata di un’asprezza nuova,
diversa dal solito. «Amore per l’uomo sbagliato…»
Fergus guardò il suo
interlocutore sempre più confuso.
«Un miserabile, un uomo
da niente… un patetico pagliaccio vigliacco e bugiardo…» nella
sua voce adesso c’era una nota di vibrante disprezzo, «le aveva
promesso di amarla per sempre… e che non l’avrebbe mai
abbandonata. Ma quando il Duca ha scoperto il tradimento ha avuto
paura ed è scappato…» continuò l’incappucciato, che adesso non
stava più parlando con Fergus, ma rivolgeva le sue parole al vento,
alla bara, alla donna che aveva amato e, forse, a sé stesso.
«Il Duca non poteva
accettare il tradimento, così l’ha condannata a morte, per
impiccagione, in pubblico… e quella nullità dell’uomo che diceva
di amarla non ha avuto neanche il coraggio di avvicinarsi a quella
piazza, per dirle addio almeno con lo sguardo. Ha avuto paura di
cercare i suoi occhi spaventati un’ultima volta… ha avuto paura
di essere catturato e di fare la sua stessa fine e quindi è rimasto
nascosto, nell'ombra, come un topo. Così lei è morta sola, tradita,
anche nella morte, da quel misero omuncolo che le aveva giurato amore
eterno…»
Fergus annuì. Adesso
capiva tutto.
«Poi…» continuò
l’incappucciato, «il Duca ha ordinato che fosse seppellita lontano
dai suoi possedimenti, in un posto sconosciuto a tutti, perché
nessuno potesse piangerla.
In realtà avrebbe voluto
darla in pasto alle banshee, ma era pur sempre sua moglie, era
una nobile. Non ha potuto rifiutarle i riti sacri e l’imbalsamazione,
quindi l’ha fatta nascondere a tutti… e a me.
Ho dovuto corrompere un
po’ di persone, ma alla fine ho scoperto il nome della collina e
sono venuto qui per… fare quello che non ho avuto il coraggio di
fare in quella piazza: dirle addio…»
Fergus sentì come una
morsa al petto. Un misto di dolore e pietà per quella giovane donna
e per il suo amante. E per suo padre e sua madre, costretti a vivere
quella vita di stenti, e per Emma, che aveva ingannato con quelle sue
parole zuccherose.
In quel momento sentì
sulle proprie spalle il peso dell’intero universo, che schiacciava
verso il basso, senza pietà. Così si inginocchiò e mormorò le
parole di una vecchia preghiera.
L’incappucciato era
immobile, come una statua di dolore.
Poi una goccia cadde ai
suoi piedi. Una lacrima, scivolata dal suo volto nascosto.
Lo straniero stava
piangendo.
Fergus lo guardò
incerto.
L’altro mise mano alla
cintura e gli buttò il sacchetto con le monete.
«Adesso vattene…»
disse con voce rotta. «Lasciami col mio amore, lasciami solo…»
Fergus annuì.
Indietreggiò, continuando a guardare lo straniero, infine si voltò
e si avviò con passo strascicato lungo il crinale.
E mentre Fergus si
allontanava, l’incappucciato cominciò a seppellire la donna amata,
per dirle addio, a modo suo, sulla cima desolata della Moher Hill.
Fergus infilò il
sacchetto di monete al sicuro, all’interno della tunica. Erano solo
trenta monete d’argento, ma forse bastavano per riscattare Emma da
suo padre e sposarla.
E poi, chissà? Un lavoro
da qualche parte lo avrebbe trovato.
Mentre questo pensiero
gli attraversava la mente, sentì i piedi farsi più leggeri e
accelerò il passo.
Era come se, dopo quelli
che sembravano mille anni, qualcuno avesse sollevato l’enorme peso
che gli gravava sulle spalle e sul petto.
Poi… mentre accelerava
il passo, una lacrima cadde dall'alto, proprio davanti a lui. E poi
un’altra ancora…
Si guardò intorno
stupito, poi alzò lo sguardo verso il cielo…
Stava piovendo.