giovedì 27 aprile 2017

Una Parola al Giorno (o quasi): APPARENZE

PRIMA VISTA (l’abito non fa il monaco… e neanche il tamarro)

L’altro ieri ho preso la metropolitana.
Accanto a me era presente un’amena famigliola calabrese composta da padre, madre e figli adolescenti, giunta, presumibilmente, in quel di Napoli, per visitarne il centro storico.
Li ho guardati distrattamente con istintiva simpatia per l’ansia turistica che, palesemente, li pervadeva.
Poi è arrivata la metropolitana.
Mi sono avvicinato alla porta e sono stato quasi travolto dal compatto manipolo famigliare che, non curandosi di me, si è scaraventato verso la carrozza della metro con la determinazione di un commando militare deciso a conquistare un obiettivo strategico.
Di fatto sono stato letteralmente spintonato di lato e la mia istintiva simpatia si è estinta piuttosto rapidamente.

All’interno del vagone era presente un nutrito raggruppamento di tamarri napoletani doc che, dalla periferia, si muoveva verso il centro nella consueta transumanza che caratterizza i giorni di festa (l’altro ieri era il 25 Aprile).
Per chi non avesse dimestichezza con il tamarro napoletano doc è opportuno precisare alcune cose:
a)  il tamarro napoletano doc non parla, urla.
b)  Il tamarro napoletano doc si esprime in una lingua che non ha nulla a che vedere con l’italiano ma ricorda, semmai, un misto di gaelico e sanscrito.
c)  Il tamarro napoletano doc quando si avventura in territori che non gli sono familiari si muove sempre in branco e, per darsi coraggio, accentua tutte le proprie caratteristiche ostentando una volgare spavalderia e un sagace sarcasmo spesso leggermente grossolano.
d)  Il tamarro napoletano doc è, tutto sommato, “nu bravo guaglione”. Ma se vuoi stare tranquillo è molto meglio quando si trova a qualche chilometro di distanza da te.

Appena la famigliola è entrata nel vagone, ha praticamente impattato (fisicamente e psicologicamente) contro la tribù, e si è immediatamente rannicchiata nel lato opposto della metro. Le due figlie si sono scambiate silenziose occhiate in cui si poteva leggere un misto di incredulità e terrore. Poi hanno cominciato a mormorare.
Non ho nessuna difficoltà ad ammettere che mi sono avvicinato per ascoltarle.
Sintetizzando potremmo dire che il succo del loro scambio verteva sul fatto che in nessuna altra parte dello stivale avevano mai incontrato esemplari umanoidi simili. E non era inteso come complimento. Credo avessero l’impressione di essere entrate improvvisamente in uno degli episodi di Gomorra pur non disponendo di un abbonamento a Sky, e questo suscitava in loro un comprensibile smarrimento.
Più loro inorridivano, più gli zamperi intorno a loro diventavano cacofonici (in maniera inversamente proporzionale, direbbe un colto matematico), prorompendo in esplosioni verbali parzialmente incomprensibili anche per me.

Li ho guardati con disappunto e per un attimo, un breve attimo, confesso di essermi vergognato un po’. Ho pensato: “Ma vedi tu se questi calabresi dovevano beccare proprio un tale manipolo di incivili, adesso, quando torneranno “in patria” diranno che i napoletani sono tutti così!”
Poi mi sono ricordato del modo altrettanto incivile con cui, i timidi turisti, mi avevano quasi calpestato, e mi sono rincuorato.
In fondo, i miei concittadini stavano solo socializzando allegramente, in un modo che poteva ricordare le scimmie urlatrici del Madagascar, è vero, ma pur sempre innocuo. E comunque, in quel loro latrare divertito e primitivo erano genuini, mostrandosi esattamente per ciò che erano. Anzi, ostentando orgogliosamente il peggio di sé, pronti poi a stupirti con qualche slancio di retrograda, ma pittoresca, umanità partenopea. Mentre i compunti turisti, che scuotevano il capo colmi di incredula indignazione, celavano dietro quell’aria smarrita l’invasiva e  proterva molestia di cui erano stati capaci solo pochi minuti prima, davanti alle porte della metro.

Le apparenze a volte ingannano… e a volte no.