C’è qualcosa di unico nello sguardo
torbido con cui il tamarro arrapato esamina una donna. Non si tratta solo della
fissità: il tamarro stupido esibisce spesso una certa staticità della pupilla
dovuta sostanzialmente alle sue ridotte capacità mentali. Ma quando il suo
sguardo si fissa su un esemplare femminile piacente, o anche non piacente, ma
sufficientemente scollacciato da risvegliargli l’ormone, il tamarro sviluppa
una vitrea fissità del tutto particolare.
Egli deposita quello sguardo con millimetrica
precisione esattamente al centro delle tette della fanciulla, e non lo smuove
più per svariati minuti. Non sorride mai, il tamarro, durante questo tipo di
approccio. Non c’è nulla da ridere… si tratta di una cosa seria. Il suo guardo
è grave, serio… quasi minaccioso e sembra voler dire alla fanciulla (e a tutto
il mondo circostante) che se non fosse per trascurabili leggi comportamentali
universalmente riconosciute (e perché lo stupro è ancora inspiegabilmente considerato
illegale) lui la possiederebbe lì, seduta stante, dando luogo ad una
performance sessuale stratosferica in grado di far scoprire, forse per la prima
volta, alla fortunata beneficiaria di cotanto maschio, cosa voglia dire fare
sesso con un vero uomo. Vale a dire con lui.
A poco importa il fatto che,
quasi sicuramente, quello stesso tamarro, chiamato eventualmente e
miracolosamente a passare alle vie di fatto, si produrrebbe in una breve, vana,
confusa e rumorosa prestazione del tutto insoddisfacente per qualsiasi tipo di
partner, perché egli, comunque, non ne sarà mai consapevole, convinto com’è dei
propri mezzi e della propria sapiente arte amatoria affinata in ore e ore di
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Parla anche, il tamarro, per
sottolineare il suo indiscusso apprezzamento per le tette e per colei che incidentalmente
le “trasporta”, ma non essendo l’eloquio il suo punto forte, spesso il massimo
che riesce ad articolare sono frasi tipo “uà, e comm’ stai bella oggi!”. Del
resto non è quello che conta. Non sono le parole, ma lo sguardo, la sua arma
segreta. Uno sguardo che ha in sé l’epicità e la drammaticità di un amore
incompiuto (per fortuna), di una passione che avrebbe potuto essere, e che, non
per colpa del tamarro, ma per la stupida e inspiegabile ritrosia della donna, resterà
inespressa, dovendo forse trovare uno sfogo meno poetico e meno consono in una
consolatoria manipolazione solitaria.
C’è l’ingiustizia del mondo,
condensata in quello sguardo sgranato, insaziabile e insaziato, che vorrebbe ma
non può e che a stento riesce a capacitarsi del perché questa cosmica tragedia
si debba compiere ogni volta, ineluttabilmente, nonostante il suo encomiabile
impegno.
Come possa, una vera donna,
restare indifferente a quel suo sguardo penetrante (almeno lui, lo sguardo lo
è, su questo non ci piove), come possa, con tanta insensibilità, ella voltargli
le spalle e andar via, sottraendogli non solo la possibilità di una torrida
scopata, ma anche la vista della “latteria” che aveva dato un senso al vuoto
esistenziale di una giornata grigia e priva di calcio è qualcosa che il tamarro non potrà mai
comprendere.
Forse la risposta è tutta lì,
nella deprimente ma ineluttabile considerazione che, ahimè, le vere donne a
differenza dei veri uomini, non esistono più.
Forse…