mercoledì 23 dicembre 2015

Una parola al giorno (o quasi): PSICOLOGIA

Sono le dieci del mattino.
Lui, in canottiera, sta riempiendo un cozzetto di pane con dei fagioli. Lei, com’è giusto che sia, lava a terra.
Strofinando con un certo vigore il pavimento, la donna annuncia distrattamente: “Hai presente Saretta, la figlia di zia Vincenza?”
L'altro, a bocca piena: “Come no!”
“E’ diventata Emo”
“Nooooooo”
“Sineeeee!”
“Ma emo emo?”
“De più… sai quelli che se tagliano?”
Lui per un attimo dimentica di masticare. Resta lì, con la bocca piena semiaperta.
“Si tagliano?”
“Già!”
“E dove?”
“Dove capita”.
“E perché si tagliano?”
“Perché soffrono!”
L’uomo si gratta la testa pensieroso.
“Non capisco… uno soffre dopo che s'è tagliato, non prima…”
La donna, che a giudicare dalla posizione in cui lava i pavimenti di sofferenza se ne intende, per lo meno a livello lombare, argomenta:
“Certo che dopo soffri, ma fisicamente… prima invece soffrono pisicologicamente…”
“Ahhhh!”
“La loro è una richiesta d’aiuto!”
“D’aiuto certo.”
“E’ colpa di questa società… i ragazzi si sentono abbandonati, si incolpano della loro inadeguatezza e finiscono per odiarsi e farsi del male!”
“Questo è vero… colpa di tutta questa psicologia del cazzo!”
“Che c’entra la psicologia?”
“Ma sì perché tutta questa psicologia ha imbottito la testa della gente di chiacchiere. E questo non si dice, e questo potrebbe traumatizzare tuo figlio, qui ci vuole l’ascolto attivo, non devi usare la cinghia, non devi urlare… così uno vede il figlio che fa l’emo e non sa cosa cazzo deve dirgli… e il ragazzo alla fine si taglia. Una volta, invece, non si tagliavano e sai perché? Perché quando cominciavano a piangersi addosso arrivava il padre e gli faceva: -Ahò che stai a fa’? -  e il figlio gli rispondeva: - sto a fa’ l’emo. E il padre: - Sta a fa’ l’emo? Mo’ te lo do io l’emo!-  e gli menava di brutto urlandogli dietro -Va a zappare, finocchio de mmerda!
Così il bambino cresceva in modo sano: odiando suo padre e non sé stesso!"


sabato 19 dicembre 2015

Una parola al giorno (o quasi): DELUSIONE

ATTENZIONE CONTIENE SOLO SPOILER

Dunque ricapitolando…

C’è un attacco delle mitiche sturmtruppen che, finalmente s’è capito, non indossano l’armatura per proteggersi dai colpi avversari (e, infatti, appena li colpisci muoiono) ma per muoversi peggio e avere una scarsa visuale che permetta loro di non colpire mai i bersagli a cui sparano e di non vedere i nemici che si nascondono a tre metri da loro.

Nel corso dell’attacco viene fatto prigioniero un membro della resistenza che verrà torturato per rivelare i propri segreti ma, prima di essere preso, riesce a nascondere dei documenti di vitale importanza in un robottino che fugge nel deserto.

Le forze imperiali sono condotte da una specie di Sith mascherato e un generale che non vanno molto d’accordo tra loro.

Il robottino incontra una persona semplice, fondamentalmente buona e onesta che si prende cura di lui.

Le Sturmtruppen calano alla ricerca del robottino e distruggono tutto.

Ma il robottino e la persona riescono a fuggire (con l’aiuto dell’unico personaggio nuovo della saga).

Dopo alcune peripezie i nostri eroi si imbattono in un contrabbandiere spaziale a cui dei malviventi sordidi danno la caccia perché non ha pagato i suoi debiti.

Dopo un’amena gita su un pianeta erboso e in una specie di bar intergalattico dove si trova un po’ di tutto, i nostri trovano una spada laser antico cimelio appartenuto a un cavaliere Jedi.

Il nostro personaggio semplice, umile ma tanto coraggioso, intanto, consolida un profondo legame nei confronti di Han Solo che le (ah già non l’avevo detto, è femmina) ricorda il padre che non ha mai conosciuto.

Per movimentare un po’ il tutto è più o meno a questo punto che c’è la prima grande rivelazione, dopo “Io sono tuo padre” è il momento di “Io sono suo figlio” che troverà  poi compimento probabilmente nel finale di questa terza trilogia con “Noi siamo cugini” e “Quello è zio Salvatore”.

E’ il momento di un altro po’ di laserate che fanno sempre bene all’umore e il cattivone cattura la ragazza che quindi va assolutamente salvata.

Almeno il robottino con le informazioni è stato recuperato, ma la soddisfazione è di breve durata perché i cattivoni hanno un’arma dalla portata inimmaginabile: una specie di pianeta motorizzato che spara raggi laser da un buco laterale e che distrugge i pianeti come se fossero bruscolini.

Guarda il caso il primo attacco fa saltare il pianeta baluardo della repubblica, il prossimo colpirà i ribelli.

Ma questo gigantesco planetoide ha un punto debole, basta disattivare gli schermi deflettori e poi concentrare gli attacchi in un singolo punto raggiungibile pilotando attraverso una specie di corridoio stretto e lungo.

Han Solo e company decidono che faranno saltare gli schermi deflettori per consentire all’attacco dei caccia di andare a buon fine e, nel frattempo, tanto per gradire, progettano di salvare la ragazza.

E’ il momento di quei simpatici cazzoni della ribellione, che con i loro apparecchietti da quattro soldi attaccano le forze imperiali carichi di coraggio (che è l'unica cosa di cui dispongono in quantità visto che di caccia ne hanno solo una dozzina) perché la loro specialità è far saltare in aria gigantesche stazioni spaziali planetarie (è praticamente la loro unica funzione da sempre).

Qui, tra l'altro, ricompare a "sorpresa" il ribelle catturato dal primo ordine, evaso e poi dato per morto nel deserto a non si sa quanti anni luce di distanza.
Eccolo scendere da un caccia stellare, tutto sorridente, come se niente fosse, decisamente poco preoccupato di essersi completamente dimenticato della missione importantissima che stava conducendo all'inizio del film.
La sua ricomparsa viene spiegata con una certa faciloneria che potrebbe essere riassunta in questo breve scambio:

"Ehi sei vivo! Ma dov'eri finito?"
"Beh sono stato sbalzato fuori dall'apparecchio e mi sono ritrovato da solo in mezzo al deserto. Allora ho usato un passaporta e sono finito a Hoghwarts. Da lì ho preso un grifone e sono tornato alla base dei ribelli".
"Ah ok... tutto chiaro allora..."

Lo scontro incredibilmente si protrae, nonostante la disparità di forze.

Nel frattempo Han Solo e company salvano la fanciulla, disattivano gli schermi deflettori, compromettono la stabilità del “come-cazzo-si-chiama” del planetoide, poi però arriva il cattivone. Han lo “affronta” e viene ucciso davanti agli occhi della fanciulla che vede morire l’unico straccio di figura paterna incontrata in vent’anni.

Il cattivone si becca una laserata ma è ancora abbastanza pericoloso. Affronta in duello prima l’amichetto della ragazza, che non ha mai combattuto con una spada laser e che quindi, anche di fronte a un mezzo sith ferito  e depresso, dovrebbe durare 10 secondi. Invece i due si scambiano un po’ di colpi prima che l’eroico ribelle abbia la peggio.


Ma ecco che, alla faccia del training di Yoda, e del fatto che Mace Windu non volesse addestrare gente sopra i 9 anni perché troppo grandi, questa sorprendente fanciulla impara da sola a usare tutti i poteri di un jedi nell'arco di un paio d'ore e le suona di santa ragione a quello che, a questo punto, merita di essere iscritto negli annali della jeditudine, come la più grande pippa della storia.

Intanto i nostri cazzoni della ribellione hanno fatto il loro sporco lavoro (prevalentemente morire) e il planetoide zompa in aria.

La nostra fanciulla parte alla ricerca di Luke e lo trova nella patria di origine dei Jedi situata su un pianeta che sembra proprio la… Terra?

Ma non era tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana?

Tutto finisce col mitico faccia a faccia tra Luke e la sua nuova adepta e, forse, figlia.


Niente da dire, uno sviluppo davvero originale… 

PS. dimenticavo che una nota positva c'è: per lo meno in questo film non ci sono gli ewok.

domenica 13 dicembre 2015

Una parola al giorno (o quasi): SERIETA'

Stamattina c'erano le gare di atletica.
Si correva la staffetta 4x100.
Per chi non lo sapesse, la staffetta 4x100 prevede 4 atleti che corrano ognuno 100 metri.
Quando gli atleti hanno 12 anni, la sfaffetta 4x100 prevede anche 4 o più genitori che accompagnino i figli sul luogo in cui si svolgerà la gara, anche se si corre a prima mattina, anche se magari si rompono i coglioni. Anche se in queste domeniche c'è da fare lo shopping Natalizio.
E se i figli sono capricciosi, la staffetta 4x100 prevede che i genitori dicano quelle cose strane tipo: "ci sono altri tre ragazzi che ti aspettano, che si sono alzati per tempo, sono andati sul posto e se tu non dovessi presentarti, all'ultimo momento, senza un perché, non potranno partecipare alla gara. Hai preso un impegno e ora lo devi mantenere, è una questione di serietà e di rispetto".
Cose così. Di una banalità così imbarazzante da poter sembrare, all'apparenza, scontate.
E infatti, come volevasi dimostrare, il quarto ragazzino della squadra di mio figlio non si è presentato.
E' andata a finire che, al momento della gara, lo hanno dovuto sostituire con un ragazzino di 9 anni, assolutamente eroico, che si è dovuto confrontare con avversari che lo sovrastavano di 3/4 anni (e a quell'età si sentono tutti).
Quando Luca, che correva il quarto finale, ha ricevuto il testimone, gli avversari avevano già tagliato il traguardo.
Ha corso lo stesso impegnandosi al massimo. Per quel che valeva, avrebbe potuto anche saltellare un piede sì e l'altro no, ma ha corso come un pazzo. Lui.
E' una questione di serietà.


mercoledì 25 novembre 2015

Una parola al giorno (o quasi): FAKE


C'era una volta il profilo fake.
E c'è ancora.
Una delle innumerevoli e meravigliose possibilità offerte dalla rete è quella di rubare il profilo di un altro e indossarlo come un completino firmato, pavoneggiandosi di qua e di là con un certo autocompiacimento o, in alternativa, creare il proprio profilo falso con certosina pazienza, fino a renderlo credibile, per poi sparare cazzate e trollare nei vari gruppi o forum che siano.
In fondo, ci si deve pur divertire in qualche modo, no?

Ma poiché al peggio non c'è mai fine, accanto ai profili fake, con cui tutti ormai abbiamo imparato a convivere, negli ultimi anni si è sviluppato un altro fenomeno ben più insidioso, quello della notizia fake.
A parte i siti di satira, in cui la falsa notizia è presentata in un contesto solo apparentemente credibile, ma senza nessuna intenzione di fare disinformazione, il web dilaga di false notizie, di finti allarmi, di indignati proclami che sono solo incommensurabili cazzate, ma che in men che non si dica, vengono ritwittati, condivisi, spammati e spalmati ovunque, senza che a nessuno venga il dubbio di fare una minima verifica.
Si tratta, a conti fatti, dell'evoluzione (o involuzione) del classico pettegolezzo da vecchia comare di paese inacidita, assunto a nuova gloria grazie al potenziamento tecnologico.
Ecco dunque fiorire in modo quasi compulsivo segnalazioni di fantomatici pedofili, di oscuri magheggi del parlamento, malattie in arrivo, cospirazioni delle lobby omosessuali a favore della diffusione di chissà quali ideologie, complotti delle multinazionali, chip sottopelle e altre colorite corbellerie, che una buona parte dell'utenza prende per vere dimenticandosi che non ci vuole niente a verificare una notizia prima di diffonderla.

Un esempio recente, emblematico di questo fenomeno, è costituito dalla falsa notizia secondo la quale lo IOR sarebbe azionista della Beretta. Notizia gustosissima, ma priva di fondamento, che in brevissimo tempo ha fatto il giro dei social suscitando un certo scalpore.
La foto che accompagnava la falsa notizia era troppo divertente e inquietante per passare inosservata e merita, di per sé, un certo plauso. Ma la notizia è solo l'ennesima social-bufala e coglierei l'occasione per invitarvi a fare una cosa semplicissima, prima di condividere col mondo la vostra indignazione: usate quel cazzo di motore di ricerca per fare un rapidissimo controllo. Ci vuole davvero poco per verificare una notizia, non costa niente e, da un lato, vi permetterà di non rendervi complici di una manica di cazzoni che fanno disinformazione e dall'altro vi impedirà di passare per coglioni.
Scusate se è poco.

domenica 22 novembre 2015

Una parola al giorno (o quasi): 007


Quando ero ragazzo adoravo l'agente 007. 
C'è da dire che erano altri tempi, quelli, e alle avventure dell'agente segreto britannico si poteva perdonare una certa ingenuità di fondo perché la visione romantica, edulcorata ed anche un po' "cazzona" dei servizi segreti e dei loro antagonisti finiva per porsi in secondo piano rispetto al fascino delle ambientazioni, all'originalità del contesto e alla faccia da impunito di Sean Connery.

A distanza di tanti anni, ovviamente, le cose sono cambiate e il nostro eroe è profondamente maturato seguendo un percorso di crescita, in modo da soddisfare pienamente le esigenze del pubblico attuale che è molto più smaliziato, concreto ed esigente... o forse no?

LA SEDUZIONE SECONDO JAMES BOND
- Ciao sono Bond, James Bond e ho ammazzato tuo marito... scopiamo?
- Ok, ma prima ti do uno schiaffo.

LA SEDUZIONE SECONDO JAMES BOND parte 2
- James tu rappresenti tutto quello che maggiormente disprezzo!
- ... (sguardo carico di ficaggine)
- Non riusciresti mai a rinunciare a questa vita, perché sei un cacciatore...
- E' vero. Adesso che abbiamo avuto due minuti di approfondimento psicologico, possiamo scopare?
- Ok...

LO SPIONAGGIO SECONDO JAMES BOND

- C'è un posto, in mezzo al deserto, in cui credo si nasconda il capo della spectre...
- E come vuoi procedere?
- Andiamo lì e ci presentiamo disarmati, se non ci ammazzano subito qualcosa mi inventerò...

I DIALOGHI DI JAMES BOND
- Allora James, perché sei qui?
- Per ucciderti.

- Pensavo fossi venuto per morire
- E' una questione di prospettive...
- No è che sei venuto da solo, come un cazzone, e sei circondato da un esercito. Mi sa che ti torturo...
- Ops...


I GADGET DI JAMES BOND
- Quest'orologio è una bomba...
- Nel senso che è molto preciso?
- No, nel senso che è una bomba.

L'ARCHITETTURA SECONDO JAMES BOND
- In questo edificio da demolire, metterei una bella rete di sicurezza tipo circo...
- A cosa cazzo dovrebbe servire una rete da circo in un edificio da demolire?
- Secondo me serve, fidati...

L'INTELLIGENCE DI JAMES BOND
- Al giorno d'oggi, l'unica cosa che conta davvero sono le informazioni...
- Infatti, se mi avessero informato prima sarei andato a vedere un altro film.

LA FARINA SECONDO JAMES BOND
- Il programma doppio zero è stato cancellato...

LA POESIA DI JAMES BOND
- Lei è come un aquilone che volteggia in un uragano, signor Bond!
- E che vuol dire?
- Che gli sceneggiatori non dovrebbero ubriacarsi mentre lavorano.

domenica 1 novembre 2015

Una parola al giorno (o quasi): DOLCETTO

Dolcetto o dolcetto?

Ieri sera, mentre passeggiavo per il Vomero, ho incrociato orde di bambini impegnati nel tradizionale (si fa per dire) “dolcetto o scherzetto”. Ho potuto così notare l’evoluzione del fenomeno che, adesso, si svolge per lo più in questo modo:
a)     Le mamme accompagnano i figli munite di una busta piena di caramelle, cioccolatini e altre leccornie.
b)     Prima che i bambini facciano irruzione in un esercizio commerciale o un appartamento, le mamme li precedono e riforniscono di dolcetti le “vittime”.
c)     I bambini irrompono e, grazie ai rifornimenti effettuati dalle mamme, le loro richieste vengono ampiamente soddisfatte: SEMPRE.
 
il bambino incontrato ieri al Vomero, tra 18 anni
Ora… io mi rendo perfettamente conto che, al giorno d’oggi, un ragazzino di 8 anni, di fronte a una risposta negativa, potrebbe subire un trauma di portata incalcolabile in grado di trasformarlo per l’eternità in un infelice complessato. Capisco, dunque, che una mamma  protettiva possa correre ai ripari per far sì che questa malaugurata ipotesi non si verifichi.
Ma non posso fare a meno di domandarmi come sia possibile che tutti noi, che siamo cresciuti in un periodo in cui tutta questa sensibilità genitoriale difettava e le teorie psicologiche non governavano ancora sovrane, si sia sopravvissuti mantenendo una parvenza di sanità mentale.
Sinceramente non so dire chi stia messo peggio tra noi e la generazione attuale, ma credo che soddisfare sempre le richieste dei nostri figli anticipando ogni possibile intoppo in modo da non creare alcun tipo di frustrazione, sia, alla lunga, un rimedio ben più dannoso del danno che si propone di prevenire.
Non vorrei che stessimo crescendo una generazione di viziati infantili e smartphone dipendenti e mi chiedo: quando, tra tanti Halloween baciati dalla fortuna, quel bambino di 8 anni ormai diciottenne si troverà di fronte al primo vero NO, in ambito scolastico, lavorativo o sentimentale, quando, per la prima volta, le cose non andranno come lui avrebbe voluto, in che modo potrà confrontarsi con questo improvviso, imponderabile, imprevedibile e inaccettabile rifiuto?

Non so... secondo me non la prenderà tanto bene…

sabato 31 ottobre 2015

Una parola al giorno (o quasi): PAROLE

Le parole sono gratis.
Forse è per questo che nella vita e nei social abbondano e trabordano.
Fiumi impetuosi di parole buttate senza criterio, sparate affrettatamente senza che, dietro, ci sia un pensiero, una volontà di comunicare davvero.
La questione, alla fine, è tutta lì. Perché, alcuni ne saranno sorpresi, ma le parole non hanno un’esistenza autonoma. Non sono autosufficienti. La loro esistenza dovrebbe avere una funzione e quella funzione dovrebbe essere comunicare qualcosa e per voler comunicare qualcosa sarebbe auspicabile che le parole fossero l’espressione di un pensiero più o meno compiuto e che quel pensiero fosse effettivamente un Pensiero e non l’equivalente di una flatulenza prodotta dalle sinapsi cerebrali.
Forse, se le parole avessero un prezzo, si sarebbe portati a pensare, prima di spararle tutt’intorno un po’ a cazzo, ma le parole sono gratis… questo è il problema.

Faccio un paio di esempi banalissimi.

ESEMPIO 1
Amazon Answer.
Quel servizio di domande e risposte per cui, se sto per comprare un articolo su amazon, posso chiedere delucidazioni ai clienti che lo hanno acquistato prima di me.
Poniamo il caso che io stia valutando l’opportunità di comprare un lettore mp3, ma tra le specifiche tecniche non siano elencati tutti i formati supportati, posso accedere al servizio di Amazon e chiedere agli altri utenti: “Sapete dirmi se legge anche i flac?”

E’ quasi matetematico che il primo a rispondere sarà l’utente UNGOBONGO pronto a dire:
“Non lo so, perché io ascolto solo mp3”.
Grazie per la sollecitudine UNGOBONGO, ma mi chiedo: se non lo sai, cosa cazzo hai risposto a fare? Di che utilità può essermi la tua risposta? Non potevi, per esempio, dedicarti a un’attività più produttiva tipo la lobotobia prefrontale che, tra l’altro, non posso escludere a priori ti sia già stata praticata?
Il dramma è che UNGOBONGO non è l’unico. Ci sono orde di UNGOBONGHI pronti a rispondere, tra l’altro cose tipo: “non lo so mi è appena arrivato, devo ancora aprire la scatola…” o “L’ho regalato a mio nipote, quindi non lo so”.

ESEMPIO 2
Forum di fotografia.

Ho scattato delle foto a mio figlio che faceva mountain bike, ma ho avuto problemi nella messa a fuoco. Poiché non sono un fotografo esperto chiedo consiglio come impostare l’af e gli altri parametri per ottenere risultati migliori.


Il fratello di UNGOBONGO, che si chiama CAZZOPARLO, mi risponderà:
“Il problema non è tanto l’autofocus, af-c va bene, e i tempi di scatto che hai usato sono adeguati, ma per il futuro, cerca soggetti più interessanti…
Ora, mio caro CAZZOPARLO, io lo so che tu probabilmente sei un fotografo scafatissimo e super professionale che, se non deve fotografare Valentino Rossi che prende a calci Márquez, non si scomoda neanche a uscire di casa. Le tue foto saranno anche bellissime e forse, se mi avessi dato consigli sulla composizione, per quanto non richiesti, li avrei apprezzati. Ma il soggetto in questo caso è mio figlio, perché non devo partecipare a una mostra fotografica e per me, ti sorprenderà saperlo, mio figlio è un soggetto interessante, quindi spiegami, a cosa dovrebbe servirmi il tuo consiglio?

(apro una parentesi dedicata agli aspiranti fotografi): CAZZOPARLO, se avesse voluto aiutarmi, avrebbe potuto dirmi che, a volte, soprattutto quando ci sono molti elementi di disturbo, è consigliabile usare l'af-c a punto singolo, inseguendo il soggetto, perché con l'af-c dinamico a 9 o a 21 punti c'è il rischio che l'af non centri il soggetto)

In entrambi i casi parliamo di parole inutili. Buttate lì tanto per dar fiato alle trombe e, in questo caso, ai polpastrelli.  Parole che sono perfettamente esemplificative di questa società multimediale  in cui non importa se non hai un cazzo da dire, basta che parli, perché esserci è quello che conta. Nel primo caso assistiamo alla totale assenza di pensiero, nel secondo alla presenza di un pensiero invasivo e presuntuoso, in cui il CAZZOPARLO di turno, generalmente frustrato e in cerca di gloria e autocelebrazione, deve dimostrare di essere migliore di te o, quanto meno, che tu sei una pippa abissale.


Quindi, niente, mi chiedevo… non è che possiamo mettere un prezzo alle parole?

giovedì 29 ottobre 2015

Una parola al giorno (o quasi): NOSTALGIA

Quando ero piccolo mio padre mi portava a tagliare i capelli dal suo barbiere.
Era una sorta di rito iniziatico maschile riservato a noi due, senza la presenza di donne, mogli o mamme che fossero.
Benché abitassimo al Vomero, papà continuava imperterrito ad andare da Gigino, che si trovava a Mergellina. Cambiare per uno più vicino era un concetto che non lo sfiorava minimamente perché Gigino era il suo barbiere da sempre e credo che mio padre lo avrebbe considerato un atto contro natura. E poi, forse, tornare a Mergellina lo faceva sentire vicino alle proprie origini, chi lo sa?
Gigino era un uomo d’altri tempi. Uno che aveva fatto la guerra. Uno che badava solo a tagliare i capelli, senza troppi fronzoli.
Me lo ricordo coi suoi capelli grigi sempre impeccabili e l’aria un po’ austera, ma sempre sorridente.
Paragonato a molti dei barbieri di oggi, Gigino diventa una figura estremamente sobria e carismatica. Era uno che usava solo forbici e pettine e non le macchinette, i trimmer e altre diavolerie moderne. Lui non stava lì a venderti questo o quello sciampo grandioso, quella lozione di marca, quel gel fantasmagorico. Mica era un venditore o un rappresentante di cosmetici! Lui era un barbiere: tagliava e basta.
E tra una forbiciata e l’altra chiacchierava con mio padre e si raccontavano delle loro vite, dei ricordi di ragazzi e di altre cose che, all’epoca, non potevo capire.
Non so. Fatte le dovute proporzioni e rapportandoci al mondo calcistico, potremmo dire che Gigino stava ai barbieri moderni, così come Kempes sta a Beckham. Tanto per dire.
Gigino era uno semplice, senza fronzoli. Venendo dalla guerra e da anni duri, in cui bisognava arrangiarsi, in un modo o  nell’altro era diventato uno che non badava tanto alle apparenze quanto alla sostanza.
Era una generazione che è un po’ scomparsa, almeno qui in Italia. Gente che faceva il necessario con quello che aveva a disposizione, senza star troppo a  riflettere sul perché e il percome.
L’esemplificazione di questo modo di vivere sta tutta nella cura che escogitò per i miei capelli grassi.
Nel passaggio da fanciullezza ad adolescenza, infatti, i miei capelli mutarono improvvisamente trasformandosi in una specie di foresta sebacea e, ovviamente, mio padre si rivolse a Gigino.
Gigino ci pensò un attimo, e poi gli disse di usare il LIP (un detersivo in polvere per capi delicati), opportunamente diluito.
Papà non discusse. Eseguì.

Che vi devo dire?  Mio padre era un tipo strano, gli piaceva spiazzare le persone e credo che trovasse tutto molto divertente.  Secondo me, per lui, vedere le reazioni stralunate di amici e parenti quando spiegava con ostentata naturalezza quale fosse la cura per i miei capelli grassi, costituiva un momento così impagabile da far passare in secondo piano il fatto che, forse, lavarmi i capelli con un detersivo, potesse essere una gran stronzata.
Io all’epoca non capivo una ceppa e mi facevo ‘sti sciampi assurdi senza protestare. Quindi siamo andati avanti così per un annetto o due, fino a che il buonsenso non ci ha suggerito di tornare a rimedi più consoni.
Miracolosamente non sono diventato calvo. Ma da allora devo farmi lo sciampo tutti i giorni, altrimenti i miei capelli diventano inguardabili.
Non so se sia colpa di Gigino. Probabilmente sì, almeno in parte, però non riesco ad avercela con lui. Mi manca il mondo che rappresentava. Un mondo semplice, forse un po’ sprovveduto, anche superficiale, ma genuino, che ormai non c’è più. E anche se, da piccolo, andare  fino a Mergellina per tagliarmi i capelli con mio padre mi sembrava una gran rottura di palle, adesso quei momenti mi mancano. Mi mancano quelle chiacchierate interminabili tra Gigino e mio padre. E mi manca lui, ovviamente.

Il Lip no, però. Di quello non sento proprio la mancanza.

martedì 6 ottobre 2015

Una parola al giorno (o quasi): INTIMITA'

SARA: "Che cos'hai?"
PAOLO: "Niente"

Sara lo guarda in silenzio, non sembra convinta.

SARA: "Sicuro?"
PAOLO (a disagio): "Non mi va di parlarne..."
SARA: "perché?"
PAOLO: "Cerca di capire, ci... ci sono sono cose che non si possono dire..."
SARA: "Neanche a me?"

Paolo esita.

PAOLO: "Neanche a te..."

Sara resta in silenzio e cerca di metabolizzare quelle parole. Cerca di dare un senso a quel silenzio, a quella negazione di contatto che non riesce ad accettare.

SARA: "Neanche su facebook?"

Paolo si blocca colpito. Riflette, profondamente, Poi scuote il capo sofferto.

PAOLO: "Neanche su facebook"

Sara indietreggia sconvolta, mentre Paolo annuisce devastato da quella affermazione che, in qualche modo, è una sorpresa anche per lui.

PAOLO (a bassa voce, lacerato): neanche su facebook...

sabato 19 settembre 2015

Una parola al giorno (o quasi): ISO pazzo

No, non ho sbagliato a scrivere l'attacco della canzone di Pino Daniele, voglio proprio parlare degli ISO.
I che? (direte voi)
Gli ISO sono quel valore che indica la "sensibilità" della pellicola nella fotografia analogica o del sensore nella fotografia digitale. Pare una cosa complicata me è un parametro con cui si deve confrontare chiunque usi una macchina fotografica degna di tale nome.
Senza entrare in dettagli tecnici pallosi la questione è più o meno la seguente: più è alto il valore ISO e più aumenta la possibilità di fotografare con poca luce... ma diminuiscono i dettagli e aumenta il "rumore" - vale a dire quella grana fastidiosa che rende meno dettagliata l'immagine. Certo, il rumore si può diminuire in post produzione con dei programmi appositi, ma con una conseguente ulteriore perdita di nitidezza.
Ecco perché il fotografo neofita teme gli ISO come la morte.
Benché le macchine di nuova generazione riescano a digerire anche ISO alti, resta questa specie di timore. Un po' come quando le mamme parlavano dell'uomo nero (creando le basi per i pregiudizi razziali che affliggono la nostra società). 
ISO 800 - Sottoesposta con recupero in PP
Attento agli ISO, è il monito severo che risuona nella testa del provetto fotografo che si accinge a scattare, anche perché, per quanto la tecnologia abbia fatto passi da gigante in questo settore, una delle poche cose di cui non si può fare a meno, quando si scatta una foto, è proprio la luce.

ISO 6400 - con riduzione del rumore in PP

Ed ecco che, dunque, terrorizzati dalla gestione degli ISO, si rischia di incorrere in qualche piccolo equivoco.
Parlo per me, ovviamente, che sono una capra. Ma che ne so, magari a qualche neofita come me questi ragionamenti potranno essere di aiuto.
Nell'ultimo periodo mi è
capitato spesso di fare foto in condizioni di luce un po' ostiche e, vittima dei miei timori ancestrali nei confronti degli ISO, ho cercato di tenere sempre questo valore il più basso possibile, anche a costo di scattare foto più o meno sottoesposte da recuperare poi in post produzione. 
Ma anche il recupero in post produzione ha un costo, soprattutto se parti comunque da una foto rumorosa. In pratica,l tanto per venire al punto, a un certo punto mi sono chiesto: posto di dover per forza alzare gli ISO perché le condizioni di luce me lo impongono, è più produttivo scattare, per esempio, a 800 ISO e poi recuperare in post produzione, o  è meglio alzare gli ISO quanto necessario per avere la foto correttamente esposta e quindi operare solo sulla riduzione del rumore. Quale strategia dà i risultati migliori.
Ebbene, con la Nikon D7100, per esempio, conviene alzare gli ISO.
Punto.
Volevo solo dire questo. A chi non scatta foto non gliene può fregare niente, lo so, ma se queste mie parole possono servire a salvare anche solo una fotografia, allora il mio (e il vostro) sacrificio è servito a qualcosa...
Buona luce a tutti.

PS. giusto per concludere con qualcosa che possa riguardare tutti... se guardiamo agli ISO come al valore che indica la sensibilità, mi viene da pensare che nella vita di tutti i giorni le cose stiano più o meno allo stesso modo. A volte, per paura dei danni che ne potrebbero conseguire, abbassiamo i nostri ISO (cioè alziamo la soglia della nostra sensibilità, cercando di tenerla sotto controllo), e per far questo ci perdiamo tante cose belle...


venerdì 18 settembre 2015

Una parola al giorno (o quasi): EQUILIBRIO

Sottotitolo: consigli a un giovane fotografo.


Ormai nell'era degli smartphone a millemila megapixel, di instagram, flickr, pinterest e tutti i social di questo mondo, delle compattine superdotate e chi più ne ha più ne metta, la fotografia è stata definitivamente sdoganata come qualcosa alla portata di tutti.
Ed è vero.
Tutti possono fare foto.
E tanti possono fare foto di cacca.
Ma ci sta. Non voglio fare il Reflex Nazi che sputa su tutto ciò che non sia stato prodotto secondo i sacri canoni.
La fotografia, come ogni forma espressiva, avrebbe le sue regole e la sua grammatica (che io stesso pur appassionato conosco solo marginalmente). Ma... se proprio vi rompete le palle e volete solo scattare a ciò che più vi piace, va bene.
E' comunque un modo per fissare degli attimi, dei ricordi, così, senza alcuna pretesa. 
Fotografate lo stracazzo che vi pare e siate felici.
C'è una cosa però, alla portata di tutti, che non richiede lo sforzo sovrumano di leggere manuali, di studiare le regole compositive, di comprare super mega attrezzature. 
Una cosa semplice e apparentemente banale che però può fare la differenza. 
Una cosa che in un mondo perfetto dovrebbe venire naturale ma che, invece, naturale non è, a quanto pare. Ed è questo che mi sento di consigliare spassionatamente a chiunque voglia scattare foto.

TENETE 
LA 
MACCHINA DRITTA.

lunedì 3 agosto 2015

Vecchio

Quando, finalmente, Fergus arrivò nell’ampio salone erano già tutti lì.
«Scusate…» mormorò il vecchio.
Gli altri lo ignorarono e lui andò lentamente a prendere posto sulla panca, il più vicino possibile al fuoco, per scaldarsi le ossa.
Pendrag seguì la sua andatura zoppicante col solito misto di compassione e rancore. Non sopportava quell’uomo, perché gli ricordava ogni giorno quanto fosse imbarazzante la vecchiaia.
Spero di morire molto prima, pensò aspettando che il vecchio raggiungesse il suo posto. Molto prima, ma non troppo!
«Non abbiamo tutto il giorno…» disse poi, per incitare il vecchio.
Fergus si fece cadere sulla panca con un gemito, chiuse gli occhi per un attimo, come a voler metabolizzare lo sforzo che gli era costato portare a termine quella lunga camminata. Poi li riaprì e fece un cenno del capo.
Pendrag sospirò maledicendo, tra sé e sé, le tradizioni che imponevano al consiglio la presenza di quel vecchio inutile e si voltò verso il giovane pastore che si trovava al centro della sala in attesa di riferire ciò che aveva scoperto.
«Allora?»
«Sono Kurghal» disse il ragazzo «e si sono accampati sulle colline a ovest del fiume».

L’annuncio fu accolto da un mormorio preoccupato.
«Sei sicuro?» chiese Alfion.
Erano anni che i Kurghal non venivano così a sud e tutti i presenti, in fondo, si stavano augurando che il ragazzo fosse in errore.
«So cosa ho visto…» rispose il giovane mettendosi sulla difensiva.
Alfion scosse il capo incredulo, «forse è solo una banda di esploratori…» azzardò poi speranzoso.
«Ho contato più di 100 tende…» rispose il pastore.
Pendrag strinse i denti mentre una morsa gelida gli stringeva lo stomaco.
Cento tende voleva dire una banda di guerra al completo e un tale numero di uomini si muoveva solo per razziare. Non sarebbero mai tornati indietro a mani vuote.
«Se sono una banda non possiamo opporci…»
Alfion annuì. «A Roverslide hanno bruciato tutto…»
Kehndron smise di tormentarsi le mani per un attimo, «dobbiamo sottometterci».
Anche Elmes crollò il capo in segno di resa: «non abbiamo scelta…»
Fergus cercò di fermare per un attimo il tremolio del capo ciondolante, non guardò gli altri, guardò solo Pendrag.
«C’è sempre una scelta…»
«Non dire assurdità Fergus! Stiamo parlando di Kurghal! Una banda al completo! Noi non siamo in grado di affrontarli…»
Fergus incassò la testa nelle spalle. Erano anni che era abituato a sentirsi dare dell’imbecille. Soprattutto da quel giovane gigante arrogante.
Elmes si alzò in piedi. Era imponente, con le spalle larghe e la testa massiccia ben piantata sul collo taurino. Eppure sembrava un fuscello se paragonato a Pendrag.
«Suppongo spetti a me andare da loro…»
Nessuno lo contraddisse. Il fabbro era la figura più importante del villaggio. A lui spettavano oneri e onori.
«Gli dirò che il nostro Hillfort non opporrà resistenza, che apriremo i cancelli e che… potranno prendere ciò che vogliono…»
Gli altri si guardarono smarriti. Sapevano cos’avrebbero fatto i Kurghal. Ma sapevano anche che non c’era scelta. Se si fossero opposti sarebbero stati uccisi tutti.
Fergus scosse il capo.
Odiava la propria vecchiaia almeno quanto Pendrag. Odiava il non riuscire a muoversi con l’agilità di un tempo. Odiava i dolori nelle ossa. I denti marci e il sangue nelle orine. Ma, soprattutto, odiava quel senso di ottundimento che gli confondeva le parole nella testa. Se non fosse stato per quella maledetta vecchiaia avrebbe preso la parola e avrebbe detto a quegli idioti del consiglio che quando aveva fatto il mercenario, sembravano passati quasi mille anni da allora, era stato a Meridyan, e aveva visto…
Aveva visto quando i Kurghan erano venuti dal mare, con le loro navi agili e allungate.
Aveva visto quando avevano sbaragliato l’esercito di Re Alfred e quando avevano cinto d’assedio la città. E aveva visto il consiglio cittadino arrendersi e aprire le porte.
Aveva visto la vergogna negli occhi degli uomini di Merydian, mentre i Kurghan violentavano le loro donne e si impossessavano delle loro provviste.
Aveva visto la loro umiliazione, mentre i Kurghan ripartivano carichi di bottino, ridendo dei vigliacchi che non avevano osato combattere.
Quando le navi erano salpate, pochi giorni dopo, Meridyan era una città morta, anche se erano ancora tutti vivi.
E’ questo che volete?! - Avrebbe chiesto - volete morire dentro?
Era sicuro che, se fosse riuscito a trovare le parole giuste, anche quei patetici vigliacchi del consiglio avrebbero capito che arrendersi non era una soluzione.
Il problema era che le parole si perdevano lungo la strada che dal cervello portava alla bocca… e alla fine gli restava solo un vago senso di tutto quello che avrebbe voluto dire.
«C’è morte e morte» biascicò.
Pendrag si voltò di scatto verso di lui.
«Cosa?»
«C’è… morte e morte…» ribadì Fergus.
«E questo cosa vuol dire?!»
Fergus si protese verso le parole. E quelle sfuggirono miserevolmente come sempre, lasciandogli la bocca vuota.
Si limitò a guardare torvo Pendrag, mentre il tremolio della testa ricominciava.
«Tu dovresti saperlo, sei un guerriero!»
«Vecchio imbecille! C’è una sola morte, ed è quella che ci daranno i Kurghan se cercheremo di combattere… io l’ho visto cosa fanno ai nemici…»
«Già…» mormorò Alfion «tu hai combattuto, nelle marche orientali… Fergus ha ragione, sei un guerriero, forse potresti…»
Pendrag lo interruppe.
«Io potrei cosa?!»
Gli altri restarono in silenzio. Per un attimo solo lo scoppiettìo del fuoco.
«Ho combattuto  è vero… ma non ero solo, c’era l’esercito dei due Tori. C’era Glamesh il guercio a comandare… qui chi dovrebbe combattere con me. Tu?» si protese verso Alfion che fece istintivamente un passo indietro. «O tu?» domandò a bruciapelo a Regis il lungo. «In tutto l’Hillfort ci saranno sì e no cinquanta uomini in grado di reggere una spada, e solo la metà di loro ha una vaga idea di come usarla…»
«Ma abbiamo le palizzate…»
«A Roverslide avevano i fossati, mura di pietra alte quasi sedici piedi… e sono morti».
«Sembri una ragazzina…» biascicò Fergus con rabbia «gnègnègnè!»
Pendrag fu tentato di colpirlo con un pugno.
Contrasse le dita in un gesto convulso. Se avesse portato a segno il colpo  avrebbe senz’altro ucciso il vecchio e, per quanto irritante, Fergus non meritava di finire in quel modo.
Era pur sempre un eroe.
Tutti sapevano che Fergus, ai suoi tempi, era stato un grande guerriero.
Quando Re Thumal aveva suonato i corni, Fergus aveva risposto al richiamo e aveva combattuto nella piana rossa di Argyle contro gli Artigli Neri di Weridos. In vent’anni nessuno aveva osato contrastare la ferocia degli Artigli Neri e i pochi che ci avevano provato erano stati massacrati.
Anche ad Argyle erano sembrati inarrestabili.
I campioni di Re Thumal erano caduti uno ad uno davanti a Orghal, il comandante degli Artigli. Orghal… un gigante vestito di nero e rosso che combatteva senza scudo, falciando gli avversari con il gigantesco spadone a due mani.
Orghal, la morte che cammina!
 Poi, a un tratto, Fergus gli si era scaraventato contro armato della sua ascia.
Spadone contro ascia.
I due avevano combattuto sul versante orientale della collina, mentre gli eserciti si aprivano per far loro spazio.
Orghal sovrastava Fergus di almeno un piede. Era gigantesco. Sembrava una divinità infernale venuta a seminare morte e distruzione tra i comuni mortali. Ma Fergus lo aveva affrontato a viso aperto, e anche quando il gigante gli aveva fracassato il braccio destro, Fergus aveva continuato a combattere nonostante riuscisse a stento  a reggere l’ascia con il braccio sinistro.
Alla fine Orghal lo aveva disarmato, aveva lasciato cadere lo spadone nel fango e lo aveva stretto in una morsa mortale fratturandogli anche l’altro braccio. Pronto a stritolare l’uomo che aveva osato affrontarlo senza paura.
Fergus aveva urlato di dolore e il gigante nero aveva riso della sua debolezza e della sua stupidità. Aveva riso, sprezzante, inarcandosi all’indietro, e in quel momento Fergus lo aveva azzannato appena al di sopra della gorgiera, strappandogli via la trachea.
Orghal era morto soffocato dal suo stesso sangue, guardando per un ultima volta incredulo, lo spietato avversario dalle braccia fratturate che masticava quella massa fibrosa e cartilaginea che un tempo aveva fatto parte della sua gola e, quel giorno, Fergus era diventato una leggenda.
Ma l’immortalità non rendeva immuni dalla vecchiaia.
Fergus vide la rabbia negli occhi di Pendrag e lo vide dischiudere a fatica la mano.
«Allora ce l’hai…» disse.
«Cosa?» gli chiese il gigante.
«Le palle…»
Pendrag gli voltò le spalle e si rivolse a Kenhdrom.
«Domani ti accompagnerò a parlamentare».
«La legge della spada…» mormorò Fergus con voce strozzata che sembrava provenire quasi dall’aldilà.
Pendrag si immobilizzò.
La legge della spada? Pensò.
Fergus annuì compiaciuto per essere finalmente riuscito a ricordarsi quelle parole.
«La Legge della Spada!» confermò.
Elmes guardò Pendrag incerto.
«Che vuol dire?»
Il guerriero scosse il capo.
«Niente, è solo un vecchio rimbambito…»
«Diglielo!» lo sfidò Fergus. «Diglielo, se hai le palle…»
«E’… è inutile» protestò Pendrag «anche se accettassero io non sono in grado…»
«Si può sapere di cosa state parlando?» domandò Kenhdrom.
Pendrang sospirò rabbiosamente.
Perché mi stai facendo questo vecchio? Cos’è, un modo per vendicarti di me?
«L’unica legge che accettano i Kurghal, è quella della spada. Se un guerriero sfida il loro campione, questi non può sottrarsi… sì ma è inutile. Il loro campione sarà un maestro della spada, anche se accettasse la mia sfida non riuscirei mai a batterlo!»
«Ma se ci riuscissi?» domandò Elmes.
«Io non…»
«Cosa succederebbe se tu riuscissi a battere il loro campione?» insisté il fabbro.
«Dovrebbero ritirarsi…» ammise Pendrag.
Fergus sorrise.
Maledetto sdentato di merda! Pensò il gigantesco guerriero, poi fece girare lo sguardo posandolo sui membri del consiglio «Sì, ma io non vincerò… non contro un maestro di spada…»
«Potresti… provare…» sussurrò Alfion.
«Le sorti di un duello non sono mai certe…» aggiunse Elmes «in fondo, se quando era giovane Fergus non avesse combattuto, oggi saremmo tutti schiavi di Weridos».
«E perché non provi tu allora?» ribatte Pendrag rabbioso.
Sapeva cosa stava succedendo. Quei quattro cacasotto avevano trovato la cosa più pericolosa che potesse essere presentata al consiglio: la speranza, ed ora vi si aggrappavano con le unghie e con i denti, anche se questo voleva dire mandare al macello uno di loro.
«Io andrei, se sapessi combattere» disse Alfion «ma non ho mai impugnato una spada in vita mia. Tu però sì…»
Pendrag scosse il capo.
«Non potete costringermi…»
Elmes lo guardò implorante. «Ho una figlia di quattordici anni e una di dodici anni e mezzo… Lemal e Ghia… tu le conosci…»
Pendrag annuì.
«Tu sai cosa le faranno…»
Pendrag ebbe una fugace visione delle due ragazzine, così come le aveva viste quel mattino, mentre correvano tra le oche, in riva al torrente, ridendo spensierate.
Sospirò ancora.
«Domani porteremo la nostra sfida…» sussurrò e gli parve quasi che quelle parole risuonassero nel silenzio come un’elegia funebre.

I Kurghal si erano disposti in semicerchio.
Erano tutti guerrieri solidi, ma non particolarmente alti. Del resto i Kurghal erano noti per la loro letale efficienza, per la velocità e per la tecnica dei loro spadaccini. Non per la forza in sé.
Pendrag era più alto del loro più alto guerriero, ma sapeva che questo non voleva dire niente. Infatti, quello che avanzò per affrontarlo, era un guerriero dalla muscolatura allungata, quasi esile se paragonata alla sua.
Il Kurghal squadrò l’avversario e sorrise. Poi si slacciò la mantella striata, sguainò la lunga spada dalla lama leggermente curva e imbracciò con la sinistra il piccolo rotellino da pugno che tra i maestri di spada Kurghal sostituiva i più voluminosi scudi da battaglia.
Pendrag lo vide avanzare e metterglisi di fronte con aria quasi annoiata, assumendo quella che poteva vagamente sembrare una posizione di guardia, senza alcuna altra cerimonia.
Lui era pronto.
Pendrag sospirò chiedendosi se avrebbe avuto il coraggio di ritirarsi adesso che la sfida era stata lanciata.
Alle sue spalle c’era quasi tutto il villaggio in ansiosa attesa. Su una panca Fergus lo seguiva attentamente con lo sguardo avido.
Si erano incrociati, poco prima, lungo il sentiero che portava alla piana del duello.
Fergus arrancava, come sempre. Lo sguardo perso nel vuoto, e Pendrag gli aveva chiesto perché lo avesse condannato a morte.
Fergus non aveva risposto. Si era limitato a sorridere.
Vecchio maledetto!
Condannato a morte da un vecchio rimbambito ormai inutile!
Pendrag sganciò il mantello, che non indossava da almeno due anni, ma che aveva rispolverato per l’occasione, per darsi un tono più minaccioso. Imbracciò il grosso scudo decorato col simbolo degli Aironi, che gli era stato donato dallo stesso Glamesh il guercio, per essersi distinto sul campo, e sfoderò lo spadone.
La tradizione voleva che intonasse le parole di sfida, battendo il piatto della lama contro lo scudo del Kurghan, per poi girargli intorno due volte. Avrebbe dovuto tracciare una linea nel terreno e aspettare che l’altro la varcasse dimostrando di aver accettato la sfida.
Ma il Kurghal lo guardava tra l’annoiato e l’impaziente e, a onor del vero, anche Pendrag aveva voglia di cominciare al più presto. La paura lo stava uccidendo. Così si limitò a mettersi in guardia.
Se devo morire, tanto vale non perdere tempo.
Appena risuonò il gong, il Kurghal guizzò in avanti facendo balenare la propria lama in un veloce fendente trasversale che per poco non cavò un occhio a Pendrag.
Solo una disperata torsione del busto lo salvò, di un soffio.
Il Kurghal sorrise e sputò nel terreno. Poi attaccò di nuovo, un po’ più lentamente, alternando finte e affondi improvvisi.
Pendrag parò come meglio poteva.
Sapeva che sarebbe stato il Kurghal a fare il duello.
Sapeva che avrebbe dovuto difendersi aspettando il momento giusto per contrattaccare.
Solo che non riusciva a contrattaccare. Ogni volta che pensava di avere una possibilità, all’improvviso partiva una nuova sequenza di attacchi che lo costringeva ad altre disperate parate.
Il Kurghal lo ferì alla spalla e alla coscia, lievemente, e poi quasi lo sbudellò con un colpo assurdo dal basso verso l’alto che Pendrag riuscì a bloccare solo parzialmente, grazie allo scudo.
Sapeva che i maestri Kurghal erano veloci, ma fino a quel momento non aveva mai immaginato che potessero essere così veloci. Adesso lo stava scoprendo nel modo peggiore.
«Hai sbagliato a prendere una spada così grossa…» lo derise il Kurgahl rompendo il silenzio. «Non sono le dimensioni che contano… non lo sapevi?»
Pendrag deviò un altro attacco e cercò finalmente di colpire l’avversario mulinando lo spadone che sibilò innocuo nell’aria.
Perché quel maledetto vecchio mi ha mandato a morire? Cosa gli ho fatto? pensò confusamente.
L’altra cosa che pensò, subito dopo, fu che si era scoperto, andando a vuoto, e che il Kurghal ne avrebbe approfittato. Già sentiva il morso della sua lama affondargli nel fianco. Quindi continuò a mulinare disperatamente lo spadone, sferzando l’aria, per cercare di tenerlo a distanza.
Per un attimo fu consapevole della sua immagine, goffa e spaventata, che scacciava le mosche, sotto lo sguardo divertito degli invasori e quello terrorizzato degli uomini del villaggio.
Che cosa stavano pensando di lui? Che era solo un pagliaccio?
Ma almeno sono un pagliaccio ancora vivo! Si disse, notando che la manovra, per quanto scoordinata, gli aveva regalato una manciata di tempo.
D’altro canto il Kurghan non aveva fretta. Sapeva di avere in pugno le sorti del duello. Bastava aspettare il momento giusto. Non aveva senso correre rischi inutili.
Pendrag aveva saputo fin dall’inizio di avere una sola possibilità.
Il suo avversario era un maestro di spada. Un abile combattente abituato a quel tipo di duelli, veloce e dotato di una tecnica che lui non poteva neanche sognarsi.
Pendrag era solo forte. Molto forte.
Nelle battaglie in cui aveva combattuto la forza era tutto. Non c’era spazio per le sottigliezze. Non c’era modo di sfoggiare tecniche raffinate.
Dovevi avanzare e colpire. Spezzare, squarciare, devastare.
E in questo Pendrag era bravo.
Adesso le cose erano molto diverse. Ma lui sapeva che ci sarebbe stato un momento, un unico infinitesimale momento, nel corso del combattimento, in cui avrebbe avuto una possibilità. E che se non l’avesse colta al volo sarebbe morto.
Paradossalmente, in questo, gli era stata d’insegnamento proprio la storia di Fergus. Anche lui, a suo tempo, aveva avuto una sola possibilità contro Orghal.
Quando combatti con un avversario che non ha punti deboli, l’unico modo per vincere consiste nell’essere sconfitti. Non c’è altra scelta. Perché è nel momento della tua sconfitta che lui diventa vulnerabile.
L’unico problema consisteva nel riuscire a sopravvivere fino a quell’attimo.
Pendrag si stava affannando per cercare di restare vivo e stava conservando la sua arma segreta per quel momento. Ma cominciava a stancarsi.
Il sangue colava da varie ferite. La vista cominciava ad annebbiarsi rendendo ancora più difficile distinguere i già confusi movimenti del Kurghan.
Non c’era più tempo da perdere.
Così decise che non aveva senso rimandare oltre e si proiettò in avanti seguendo una delle antiche configurazioni tramandate dalla scuola di Lynn Cerrig. L’unica che conoscesse: la configurazione del serpente.
La configurazione prevedeva una serie di improvvisi attacchi, partendo da una posizione di guardia bassa.
Era chiamata così perché riproduceva, in qualche modo, gli attacchi di un cobra.
Richiedeva una tecnica mista di taglio e punta in cui Pendrag non si esercitava da anni. Sapeva che l’esecuzione non sarebbe stata impeccabile, ma era il meglio che poteva fare.
Speriamo che basti.
Non bastò.
Il Kurghan parò tutti gli attacchi e mandò Pendrag a incespicare senza fiato, con un nuovo taglio sul bicipite.
Pendrag barcollò senza fiato guardando l’avversario negli occhi a mandorla. Questi ghignò e venne avanti , fece una finta alla testa, una al corpo, girò su sé stesso e colpì seguendo una traiettoria del tutto inaspettata dal lato opposto, verso il collo indifeso del gigante.
La prima volta che il guercio aveva selezionato gli uomini per l’attacco alla breccia di Andor, aveva squadrato Pendrag con sufficienza. Era grosso, è vero, ma di uomini grossi lui ne aveva molti. Uno in più o in meno, non avrebbe fatto nessuna differenza.
Poi lo aveva visto allenarsi e aveva detto una sola cosa, prima di sceglierlo per il suo reparto.
«Sei veloce…» aveva detto. Solo quello, nient’altro.
Pendrag era veloce. Non come il Kurghan certo, ma per uno della sua stazza era… quasi un fulmine. Uno di quei fulmini che cadono una sola volta, all’improvviso, nel cielo ancora sereno, impreparato al loro arrivo.
La lama del Kurghan calò. E Pendrag parò all’ultimo istante.
Era un colpo sferrato con tutta la forza per decapitarlo. Ma anche la parata di Pendrag fu effettuata con tutta la forza di cui disponeva. Le lame impattarano con un cozzo di metallo quasi assordante. E la forza del colpo fu tale che per un brevissimo istante il Kurghan sentì le dita intorpidirsi sull’elsa della propria spada.
Pendrag intravide lo stupore sul suo volto. Poi si scaraventò in avanti come un cinghiale impazzito e colpì l’avversario con una poderosa spallata che lo prese in pieno petto mandandolo a rotolare nel terreno.
Il Kurghan era un maestro spadaccino, non era un novellino. Non restò a terra ma rotolò subito in ginocchio e, benché devastato dall’urto, sollevò il braccio pronto a parare il colpo successivo. Ma Pendrag era veloce… ed era già sopra di lui. La sua lama calò dall’alto e il braccio del Kurghan cadde nella sabbia mentre lui sollevava inutilmente il moncherino ancora attaccato alla spalla.
Il secondo colpo lo decapitò.
Squarciare, squassare e decapitare... questo lo so fare.
Pendrag restò immobile guardando quasi incredulo il corpo scomposto dell’altro, nel terreno insanguinato. Poi si voltò lentamente e tornò verso l’Hillfort lasciandosi tutto alle spalle, anche il mantello.
Avrebbe dovuto sentirsi esaltato. Invece era solo terribilmente sollevato… e stanco.
Camminando incrociò un’altra volta Fergus, che lo guardava con occhi insolitamente vivi. Era come se, dopo anni di torpore, si fosse svegliata qualcosa dentro di lui e un fuoco bruciasse vivido nel suo sguardo.
«Tu lo sapevi…» mormorò Pendrag.
Fergus non rispose, ma sorrise.
Pendrag riprese a camminare stancamente verso casa affiancato da Kehndrom.
Dopo qualche passo si accorse che Alfion ed Elmes avevano raggiunto Fergus e lo stavano aiutando a compiere la faticosa camminata di ritorno con una reverenza mai vista prima.
Kehndron annuì con approvazione.
«Quel vecchio dannato… ha salvato il villaggio» commentò.
Ha salvato il villaggio? Lui?

I Kurghal stavano portando via il cadavere del loro campione quando furono raggiunti da un suono strano, simile a un gracchiare convulso. 
Si guardarono incerti, senza capire, poi si resero conto che si trattava di Pendrag, quasi piegato in due, scosso dalle risate.


fine