Quando ero piccolo mio padre mi portava a tagliare i capelli
dal suo barbiere.
Era una sorta di rito iniziatico maschile riservato a noi
due, senza la presenza di donne, mogli o mamme che fossero.
Benché abitassimo al Vomero, papà continuava imperterrito ad
andare da Gigino, che si trovava a Mergellina. Cambiare per uno più vicino era
un concetto che non lo sfiorava minimamente perché Gigino era il suo barbiere
da sempre e credo che mio padre lo avrebbe considerato un atto contro natura. E
poi, forse, tornare a Mergellina lo faceva sentire vicino alle proprie origini,
chi lo sa?
Gigino era un uomo d’altri tempi. Uno che aveva fatto la
guerra. Uno che badava solo a tagliare i capelli, senza troppi fronzoli.
Paragonato a molti dei barbieri di oggi, Gigino diventa una
figura estremamente sobria e carismatica. Era uno che usava solo forbici e
pettine e non le macchinette, i trimmer e altre diavolerie moderne. Lui non
stava lì a venderti questo o quello sciampo grandioso, quella lozione di marca,
quel gel fantasmagorico. Mica era un venditore o un rappresentante di cosmetici! Lui
era un barbiere: tagliava e basta.
E tra una forbiciata e l’altra chiacchierava con mio padre e
si raccontavano delle loro vite, dei ricordi di ragazzi e di altre cose che,
all’epoca, non potevo capire.
Non so. Fatte le dovute proporzioni e rapportandoci al mondo
calcistico, potremmo dire che Gigino stava ai barbieri moderni, così come
Kempes sta a Beckham. Tanto per dire.
Gigino era uno semplice, senza fronzoli. Venendo dalla
guerra e da anni duri, in cui bisognava arrangiarsi, in un modo o nell’altro era diventato uno che non badava
tanto alle apparenze quanto alla sostanza.
Era una generazione che è un po’ scomparsa, almeno qui in
Italia. Gente che faceva il necessario con quello che aveva a disposizione,
senza star troppo a riflettere sul
perché e il percome.
L’esemplificazione di questo modo di vivere sta tutta nella
cura che escogitò per i miei capelli grassi.
Nel passaggio da fanciullezza ad adolescenza, infatti, i miei capelli
mutarono improvvisamente trasformandosi in una specie di foresta sebacea e,
ovviamente, mio padre si rivolse a Gigino.
Gigino ci pensò un attimo, e poi gli disse di usare il LIP (un detersivo in polvere per capi delicati),
opportunamente diluito.
Papà non discusse. Eseguì.
Che vi devo dire? Mio padre era un tipo strano, gli piaceva spiazzare le
persone e credo che trovasse tutto molto divertente. Secondo me, per lui, vedere le reazioni
stralunate di amici e parenti quando spiegava con ostentata naturalezza quale
fosse la cura per i miei capelli grassi, costituiva un momento così impagabile
da far passare in secondo piano il fatto che, forse, lavarmi i capelli con un
detersivo, potesse essere una gran stronzata.
Io all’epoca non capivo una ceppa e mi facevo ‘sti sciampi assurdi
senza protestare. Quindi siamo andati avanti così per un annetto o due, fino a
che il buonsenso non ci ha suggerito di tornare a rimedi più consoni.
Miracolosamente non sono diventato calvo. Ma da allora devo
farmi lo sciampo tutti i giorni, altrimenti i miei capelli diventano
inguardabili.
Non so se sia colpa di Gigino. Probabilmente sì, almeno in parte, però non riesco ad
avercela con lui. Mi manca il mondo che rappresentava. Un mondo semplice, forse un po’ sprovveduto, anche superficiale, ma genuino, che ormai non c’è più. E
anche se, da piccolo, andare fino a Mergellina per tagliarmi i capelli con
mio padre mi sembrava una gran rottura di palle, adesso quei momenti mi mancano. Mi mancano quelle chiacchierate interminabili tra Gigino e mio padre. E mi manca lui, ovviamente.
Il Lip no, però. Di quello non sento proprio la mancanza.
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