giovedì 29 ottobre 2015

Una parola al giorno (o quasi): NOSTALGIA

Quando ero piccolo mio padre mi portava a tagliare i capelli dal suo barbiere.
Era una sorta di rito iniziatico maschile riservato a noi due, senza la presenza di donne, mogli o mamme che fossero.
Benché abitassimo al Vomero, papà continuava imperterrito ad andare da Gigino, che si trovava a Mergellina. Cambiare per uno più vicino era un concetto che non lo sfiorava minimamente perché Gigino era il suo barbiere da sempre e credo che mio padre lo avrebbe considerato un atto contro natura. E poi, forse, tornare a Mergellina lo faceva sentire vicino alle proprie origini, chi lo sa?
Gigino era un uomo d’altri tempi. Uno che aveva fatto la guerra. Uno che badava solo a tagliare i capelli, senza troppi fronzoli.
Me lo ricordo coi suoi capelli grigi sempre impeccabili e l’aria un po’ austera, ma sempre sorridente.
Paragonato a molti dei barbieri di oggi, Gigino diventa una figura estremamente sobria e carismatica. Era uno che usava solo forbici e pettine e non le macchinette, i trimmer e altre diavolerie moderne. Lui non stava lì a venderti questo o quello sciampo grandioso, quella lozione di marca, quel gel fantasmagorico. Mica era un venditore o un rappresentante di cosmetici! Lui era un barbiere: tagliava e basta.
E tra una forbiciata e l’altra chiacchierava con mio padre e si raccontavano delle loro vite, dei ricordi di ragazzi e di altre cose che, all’epoca, non potevo capire.
Non so. Fatte le dovute proporzioni e rapportandoci al mondo calcistico, potremmo dire che Gigino stava ai barbieri moderni, così come Kempes sta a Beckham. Tanto per dire.
Gigino era uno semplice, senza fronzoli. Venendo dalla guerra e da anni duri, in cui bisognava arrangiarsi, in un modo o  nell’altro era diventato uno che non badava tanto alle apparenze quanto alla sostanza.
Era una generazione che è un po’ scomparsa, almeno qui in Italia. Gente che faceva il necessario con quello che aveva a disposizione, senza star troppo a  riflettere sul perché e il percome.
L’esemplificazione di questo modo di vivere sta tutta nella cura che escogitò per i miei capelli grassi.
Nel passaggio da fanciullezza ad adolescenza, infatti, i miei capelli mutarono improvvisamente trasformandosi in una specie di foresta sebacea e, ovviamente, mio padre si rivolse a Gigino.
Gigino ci pensò un attimo, e poi gli disse di usare il LIP (un detersivo in polvere per capi delicati), opportunamente diluito.
Papà non discusse. Eseguì.

Che vi devo dire?  Mio padre era un tipo strano, gli piaceva spiazzare le persone e credo che trovasse tutto molto divertente.  Secondo me, per lui, vedere le reazioni stralunate di amici e parenti quando spiegava con ostentata naturalezza quale fosse la cura per i miei capelli grassi, costituiva un momento così impagabile da far passare in secondo piano il fatto che, forse, lavarmi i capelli con un detersivo, potesse essere una gran stronzata.
Io all’epoca non capivo una ceppa e mi facevo ‘sti sciampi assurdi senza protestare. Quindi siamo andati avanti così per un annetto o due, fino a che il buonsenso non ci ha suggerito di tornare a rimedi più consoni.
Miracolosamente non sono diventato calvo. Ma da allora devo farmi lo sciampo tutti i giorni, altrimenti i miei capelli diventano inguardabili.
Non so se sia colpa di Gigino. Probabilmente sì, almeno in parte, però non riesco ad avercela con lui. Mi manca il mondo che rappresentava. Un mondo semplice, forse un po’ sprovveduto, anche superficiale, ma genuino, che ormai non c’è più. E anche se, da piccolo, andare  fino a Mergellina per tagliarmi i capelli con mio padre mi sembrava una gran rottura di palle, adesso quei momenti mi mancano. Mi mancano quelle chiacchierate interminabili tra Gigino e mio padre. E mi manca lui, ovviamente.

Il Lip no, però. Di quello non sento proprio la mancanza.

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