martedì 15 aprile 2008

Sete

L’uomo è accucciato sulla sabbia, con la schiena appoggiata al bordo liscio di una pietra.
Sta lì fermo, cercando inutilmente di nascondersi in quei pochi centimetri d’ombra. Si vede chiaramente che non ce la fa più… non riesce neanche a guardarmi.
L’uomo ha lasciato una lunga striscia di sé, nella sabbia… una striscia che si perde nel riverbero del calore che sale dal terreno distorcendo il mondo, tutt’intorno a noi. Una scia che si perde tra le dune per non so quanti chilometri. A pensarci bene è incredibile che sia arrivato fino a qui.
Per prima cosa si è trascinato fino ai resti del pozzo. Ha scavato con le mani fino a spezzarsi le unghie, ma tanto, acqua qui non ce n’era più da almeno vent’anni. Lui, però, questo non lo sapeva. Ha scavato, quindi, disperatamente. E quando ha visto che l’acqua non c’era ha provato anche a bere la sabbia. Poi, sconfitto, si è trascinato verso il pezzo di roccia, verso quello sputo d’ombra che non basterà a salvargli la vita,  e si è raggomitolato come un serpente.
Finalmente si accorge di me. Farebbe meglio a risparmiare le forze per restare attaccato a quel po’ di vita che gli resta, ma tanto… probabilmente sa di essere condannato, e quindi parla.
«Non ce n’è di acqua…» dice.
Questo già lo sapevo.
«L’aereo è caduto da quella parte…» fa un vago gesto con la mano «due giorni fa».
So anche questo.
«All’inizio eravamo in tre» continua l’uomo. «Gli altri due sono morti ieri. Io ho resistito di più, forse perché sono grasso…» vorrebbe ridere ma riesce solo a tossire. «Si dice che il nostro corpo è composto per il 70% d’acqua, quindi probabilmente ne avevo di più… dentro di me.  Per questo ho resistito. Ma ormai l’ho consumata tutta, credo…» alza faticosamente una mano e se la passa sulla fronte, poi si guarda i polpastrelli distrutti dal terreno in cui ha cercato di scavare fino a poco prima, ma asciutti, proprio come tutto ciò che lo circonda. «Guarda che roba… non sudo neanche più».
Sospira sfinito. Per un po’ resta così, abbandonato contro la roccia, senza riuscire a dire più niente. Se non fosse per il debole movimento del torace sembrerebbe davvero morto. Poi riprende a parlare.
«Tu sai cos’è la sete?» mi chiede.
Io questo non lo so. La sete l’ho  vista, ed ho visto che effetto fa, ma non so cos’è.
«Allora te la racconto io…» dice  «la sete è un fuoco senza fiamma. È un fuoco arido che parte dal cervello, e diventa un pensiero fisso. Martellante… ossessivo… che non ha mai fine e che satura tutto, quello che vedi, quello che tocchi, quello che senti… e non c’è scampo. Da nessuna parte, fino a che non avrai bevuto. Basterebbe una goccia d’acqua, ti dici, basterebbe una fottutissima goccia d’acqua… basterebbe anche solo l’odore dell’acqua, e sarebbe diverso. Ma l’acqua non c’è… non c’è e basta. E tu senti che il corpo si contrae e avvizzisce. La pelle si ritira e si spacca. La lingua diventa una specie di… di cosa, informe e grossa, nella tua bocca, che vorresti sputare via, perché ti impedisce di respirare e di parlare. Ma tanto che te ne fotte di parlare… o di respirare? Tu vuoi solo bere… e quel cazzo di sole, nel cielo. Caldo… che dio lo strafulmini. Lo so che non è colpa sua, il sole fa quello che deve fare, ma… oggi tra le tante cose, mi sta anche ammazzando… normale che non mi stia tanto simpatico, no?»
E’ brutta la sete, gli dico, infine.
«Già» risponde.
Basterebbe un po’ d’acqua… sussurro.
«Anche solo poche gocce…»
Sai qual è la cosa buffa? Gli chiedo.
Lui mi guarda con stanca curiosità.
La cosa buffa è che qui un pozzo c’era. Gli dico. Bastava poco per rimetterlo in sesto e l’acqua l’avresti trovata…
«La mia solita fortuna…» dice l’uomo.
Due anni fa, gli dico, giorno più giorno meno… ti hanno chiesto di aderire ad un progetto per scavare pozzi in questa regione.
«Eh?»
Due anni fa, giorno più giorno meno, hai detto di no, che i soldi ti servivano per altre cose più importanti. Due anni fa, giorno più giorno meno, hai scelto di far morire un sacco di gente, fregandotene. Quello che non sapevi… è che uno di quelli che sarebbero morti di sete, qui, saresti stato tu…
Lui mi guarda con più attenzione adesso. Sta cercando di capire se sono una sua allucinazione… come pensava all’inizio, o qualcos’altro. Poi, probabilmente, si rende conto che, tutto sommato, non ha importanza, e comincia a ridere. A ridere sempre più forte, con lo sguardo velato da un barlume di follia che si spegne, poco a poco, insieme a lui.
Quando smette di ridere, me lo porto via. Come ho già fatto con tutti gli altri e come continuerò a fare fino a che qualcuno non scaverà di nuovo il pozzo, portando un po’ di vita anche qui.
Tra chissà quanto tempo...


Nota: ho scritto questo raccontino di getto, dopo aver visto i rezophonic in tv parlare del loro progetto. Era sabato, il giorno dopo, domenica, i negozi erano chiusi. Lunedì, sono andato a comprare il loro cd. Penso che lo dovrebbero fare tutti. Anche quell iche non hanno in programma viaggi in africa.  Per chi non lo sapesse, tutto il ricavato della vendita di questo disco andrà a sostenere il progetto idrico di AMREF, (Fondazione Africana per la medicina e la ricerca) che ha come scopo la realizzazione di pozzi d'acqua con il coinvolgimento delle popolazioni locali. fateci un pensierino...


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