domenica 13 aprile 2008

Quando il cinema d'autore conquista il pubblico

La Decima Musa (incontro con Jean-Luc Motàrd)


D:          Signor Motàrd, quest'anno lei ha trionfato al Festival Internazionale di Akjusbitznirawiztnisk, nel Kahzakistan, per la quarta volta consecutiva, presentandosi però con una pellicola decisamente atipica rispetto alla sua produzione precedente.
R:           Sì.


D:          Ecco… esatto. Ehm, e ci potrebbe spiegare come mai, dopo aver diretto tre capolavori come "Il Sole Brucia", "il Sole Brucia 2" ed "il Sole Brucia Ancora" ha deciso di cambiare completamente registro narrativo, spiazzando il pubblico, passando, invece, ad un'opera così sostanzialmente diversa come "Ustione al Mare?"
R:       Avevo quasi ultimato la stesura della sceneggiatura di "il Sole Brucia Ancora 2" quando, tutt'ad un tratto, mi sono reso conto che un'operazione del genere non avrebbe aggiunto niente di nuovo a quanto avevo già raccontato ed ho capito quanto fosse inutile. Così, senza fermarmi a rifletterci sopra, ho bruciato il copione, il computer e, già che c'ero, ho dato alle fiamme anche la villa di Palm Beach.
Mi rendo conto che, nei tre film precedenti, ho solo scalfito l'argomento che mi sta a cuore, ma continuare su quella strada mi avrebbe portato solo ad un impantanamento intellettuale, ad una stasi intollerabile, capisce? Per anni ho sostenuto che la sostanza e la forma devono essere un tutt'uno, il problema è delinearne i rapporti di forza. Ho sempre cercato di far sì che le cose si equivalessero, solo ora mi rendo conto che  è molto meglio far prevalere la forma, così puoi fare un film anche privo di sostanza e di idee, prendendo per il culo un po' tutti. Inoltre mi sembrava venuto il momento di rinnovarmi. Anche il pubblico si aspettava qualcosa di nuovo da me… non dimentichiamoci che sono sempre stato un innovatore, il primo a rompere i rigidi schemi hollywoodiani montando un film al contrario. E con questo "Ustione al Mare" sento di averlo accontentato.


D:          E' sintomatico il fatto che, nonostante l'assoluta novità del contenuto, il film mantenga la stessa identica ambientazione delle tre pellicole che lo hanno preceduto?
R:          Certamente! Ho ambientato tutti i miei film sul­la spiaggia di Monteporcino Calabro perché trovo molto stimo­lante la fissità di quello scenario, la sua struggente e arida desolazione. Inoltre volevo che al pubblico non sfuggissero alcuni determinati punti di contatto che accomunano, per così dire, l'intera mia produzione.


D:        Anche gli attori sono gli stessi.
R:           Sì, per lo stesso motivo.


D:           Anche i dialoghi sono identici.
R:           Ovviamente.


D:        E poi, all'improvviso, ecco la svolta geniale… co­me ha fatto ad intuire l'effetto spettacolare e innovativo che si sarebbe ottenuto ambientando «Ustione al Mare» in pieno inverno?
R:      Mi pare evidente che, dopo aver ambientato i primi tre film in estate, il logico passo successivo dovesse essere, necessariamente, quello di cambiare stagione, coglien­do alla sprovvista gli stessi protagonisti della storia.
La scelta non poteva che cadere sull'inverno, che con le sue mareggiate ed i suoi temporali distruttivi e rigeneratori al tempo stesso, dava l'esatto senso dell'impotenza del prota­gonista, conscio dell'approssimarsi della catarsi, e della sua disperata lotta per la vita.


D:        Ma lei aveva già previsto una soluzione di questo genere, quando incominciò a girare «Il Sole Brucia», o l'idea è maturata successivamente?
R:        In un certo senso sì, avevo già previsto uno svol­gimento simile, altrimenti non avrei fatto indossare abiti in­vernali ai protagonisti dei primi tre film. Loro, evidentemen­te, sapevano benissimo che sarebbe giunto l'inverno e non vole­vano farsi cogliere impreparati, ecco il perché delle giacche a vento a ferragosto, che tanto mi furono contestate da certa critica di bassa levatura culturale. Ed è nella stessa prospet­tiva che va collocata la nudità del protagonista in «Ustione al Mare».


D:        Potrebbe spiegarsi meglio?
R:        No.


D:        Soffermandoci su alcuni particolari di carattere tecnico: lei ha girato tutto il film in presa diretta, po­trebbe spiegarci perché?
R:        Il mio montatore è un perfetto imbecille. L'ulti­ma volta si è ingoiato dodici metri di pellicola, ed io, oltre a dover girare nuovamente le scene ingurgitate, ho dovuto anche accompagnarlo di corsa in ospedale.


D:        E cosa ci può dire della colonna sonora?
R:      Della normale musica sarebbe risultata troppo ba­nale come colonna sonora e, soprattutto, non sarebbe servita al mio scopo. Quindi sono ricorso a delle registrazioni effet­tuate all'interno di un acquario.


D:        Un po' insolito, non le sembra?
R:      Proprio come volevo… i gorgoglii dei pesci, l'e­nigmatico rumore delle acque, conferiscono all'azione un sin­golare senso di irrealtà, ed avvertono lo spettatore che, ciò che egli sta vedendo sullo schermo, presenta più significati: uno immediato, facilmente recepibile, e l'altro interiore alla vicenda stessa… subacqueo, ma ben vivo, al di sotto degli a­gitati mari delle passioni umane.


D:    E' per questo motivo che i protagonisti recitano sfoggiando maschere da sommozzatore complete di boccaglio?
R:        Esattamente. Tutti gli elementi si combinano al fine di far entrare lo spettatore nella giusta visuale pro­spettica.


D:        I boccagli non sono risultati di ostacolo per la recitazione degli attori?
R:        Assolutamente no. Sono stati uno stimolo. E co­munque, non dimentichiamo che i dialoghi sono gli stessi del film precedente… la cosa importante non è il dialogo, ma l'a­zione, che invece è sostanzialmente diversa.


D:        Anche il fatto di aver usato una cinepresa giocat­tolo sembra voler portare l'intero discorso verso l'ovvia conclusione...
R:     Bisognava colpire violentemente il pubblico, nello stesso modo in cui viene colpito il protagonista quando scopre la propria asessualità. L'instabilità delle riprese, ottenuta usando una cinepresa giocattolo, è lo specchio fedele dell'in­stabilità dell'uomo quando scopre se stesso, o,meglio, quando scopre di non essere se stesso, ma di essere un altro.
D:           Ed  è sempre per mettere in risalto la diversità del protagonista che ha fatto colorizzare manualmente ogni fo­togramma della pellicola che lo ritraeva?? 
R:            In un primo momento avevo pensato di farlo recita­re completamente verniciato, con una pittura lavabile di secon­da mano, ma,  a parte gli effetti tossici che tutti possono facilmente immaginare e che avrebbero potuto privarmi dell'attore prematuramente,  mi sono reso conto che l'effetto smorzava la dram­maticità della storia.. Quindi ho optato per la colorizzazione manuale della sua figura, che ha così-,acquistato una splendida sfumatura color zafferano.
D:         Si è rivolto a qualche equipe specializzata per questa difficile operazione?
R:          Ho fatto colorare l'intera pellicola ai miei due bambini, che così, impegnati da questo lavoro, non mi hanno rot­to le scatole per varie settimane. Del resto non volevo un la­voro perfetto.. .Le sbavature di colore rendono ancora più evi­dente e drammatica la situazione del protagonista, che è consa­pevole di non avere vie d'uscita...
D:         E' per questo motivo che, alla fine del film, il protagonista comprerà una lampada a raggi ultravioletti, abban­donandosi ad essa ed ustionandosi fino alle estreme conseguenze?
R:            La morte è necessaria: egli non vede altre soluzio­ni. Non dimentichiamoci che la fidanzata è fuggita portandogli via la dentiera...

D:            Una dentiera che è ben lungi dall'essere soltanto una dentiera. Se ho ben capito...
R:            Esatto. La dentiera è chiaramente un simbolo fal­lico inverso, e più precisamente è il simbolo del fallo del protagoni­sta, che in realtà ne è evidentemente privo, ma che rifiuta di accettare questa realtà per tutta la durata del film, fino a quando non viene messo davanti all'evidenza dei fatti dal ca­lamaro parlante.


D:         Un ultimo chiarimento per quanto riguarda la du­rata...
R:        Il film dura sedici ore e trentasette minuti... i secondi non me li ricordo.


D:        C'è un motivo particolare?
R:        Inizialmente volevo fare un film di diciassette ore esatte. Si tratta di un numero simbolico, ma poi mi è fi­nita la pellicola, e quell'idiota del produttore non ha voluto concedere nessuna aggiunta a quello che doveva essere il budget iniziale, così...


D:        Ha già deciso come si intitolerà il prossimo film?
R:           Sono indeciso tra due possibili soluzioni. O lo intitolerò «Raggi Roventi» o ripiegherò su «Ustione al Mare 2», ma in entrambi i casi sarà parlato in sanscrito, con sot­totitoli in dialetto Matabele.


D:        Ma così non si capirà niente.
R:        Non fa niente, tanto i dialoghi saranno gli stessi dei due film precedenti.


D:        Qualche altro progetto per il futuro?
R:        Mi piacerebbe fare un film-documentario sull'ac­coppiamento dei calamari, ma sarà difficile se non si decideran­no a togliermi questa maledetta camicia di forza.


D:        Forse non avrebbe dovuto staccare a morsi il naso del pro­duttore.
R:        Forse si... ma in quel momento mi è parsa una buona idea

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