martedì 18 marzo 2014

Una parola al giorno (o quasi): CONVINZIONE

La prima volta che vidi Winston Tucker

La prima volta che vidi Winston Tucker fu nel vecchio Saloon di Leroy Brown, nel Kentucky.


Winston stava suonando un pianoforte sgangherato con quel suo sorriso da ebete, mentre gli altri fumavano, chiacchieravano e bevevano nella chiassosa atmosfera del locale. Era una cosa che sapeva fare molto bene Winston... sorridere come un ebete, intendo... perché il pianoforte, a dire il vero, lo suonava davvero uno schifo, ma credo fosse inevitabile con quelle mani callose da minatore che si ritrovava. Non che abbia niente contro i minatori, intendiamoci, è che se hai delle mani come badili non ci puoi suonare il pianoforte, mi sembra ovvio!



Comunque, per farla breve, la prima volta che vidi Wilson Trinkell (o Winston Tinckett, non ho mai capito quale fosse esattamente il suo nome, se devo essere sincero) fu il giorno che ancora oggi viene chiamato da tutti “il Giorno della Grande Sfida”, quando, per intenderci, quelli del ranch WC barrato se la presero con gli uomini del vecchio Ballantine. Grand'uomo il vecchio Ballantine... si dice avesse più di 100 anni, e di certo quella vecchia scorza avrebbe campato altri 10 o 20 anni se non fosse stato per Jason Dillinbrock e la sua fottuta sei colpi!


C'è da dire che era una signora 6 colpi la colt di Jason Dillinbrock, col calcio in madreperla e la canna lucida come argento. Uno spettacolo, sissignore. Fu la seconda cosa che notai appena entrato nel Saloon, subito dopo Wirton Tickenn al pianoforte... ( o Wilson o Winston... bisogna dire che aveva un nome ben strano quel sacripante ) comunque, come entrai, vidi lui col suo sorriso ebete che faceva finta di suonare il pianoforte, e bisogna dire che ci riusciva davvero bene... a fingere di suonare, intendo, perché sorridere gli veniva davvero male, visto che lo faceva sembrare un ebete. Ma come fingeva di suonare perdio! Il suono no, quello faceva pena, per forza, con quelle mani da minatore, ma aveva l'aria di un concertista quel diavolo d'un Worston (o Wilson o Winston), a parte il sorriso da ebete, naturalmente.


E comunque vidi lui, al pianoforte, e subito dopo vidi la pistola di Jason, col calcio di madreperla che gli spuntava dalla fondina. Che spettacolo ragazzi! Si dice che gliel'avesse regalata un vecchio pistolero, a Dodge City. Altri dicevano che l'avesse vinta a poker con una mano dannatamente fortunata... tre re e tre donne, mentre l'altro aveva solo un tris d'assi. Comunque, vinta o regalata che fosse, era davvero una pistola fantastica quella sei colpi. Così andai al bancone del bar e gli offrii da bere, a Jason Dillinbrock ovviamente, non alla sua pistola. Ci mettemmo a bere quello strizzabudella che servivano nel Saloon... niente di che, intendiamoci... ma dopo che hai attraversato 50 miglia di fottuto deserto anche quello ti sembra un nettare divino, anche se si diceva che il barista, Johnny Mustang lo distillasse personalmente nel seminterrato, usando ogni genere di porcheria per risparmiare. E mentre bevevamo quella robaccia Jason mi raccontò che lavorava per il ranch WC barrato, e fu proprio lui che mi fece notare la mani enormi di Wolton (o Worston, o Wilson, o Winston, a volte mi chiedo se riuscirò mai a ricordarmi quel maledetto nome) e nessuno di noi riusciva a capire come mai non l'avessero ancora mandato via a calci in culo. Voglio dire, suonava davvero male con quelle manone callose! Pestava i tasti del pianoforte come un martello sissignore, proprio come un martello... e poi quel sorriso da ebete! Ma Jason mi fece notare una cosa, che non dimenticherò mai finché campo. Lui buttò giù una sorsata di strizzabudella, emise uno strano rumore con la bocca che non si capiva se era di apprezzamento o di disgusto, ma probabilmente tutt'e due le cose, e mi fece: - è lo sguardo! -.


Io mi girai verso Wurfag, Wolton, Worston, Wilson o Winston e guardai lo sguardo. Ed ecco lo sguardo era quello di uno che ci credeva davvero in quello che stava facendo. E, se beccavi quegli occhi, con quell'espressione a metà tra l'ispirato e l'esaltato, ti dimenticavi del sorriso ebete e perfino di quelle mani che, detto tra noi, erano davvero enormi... e pensavi “Cristo d'un Dio, ecco un pianista coi controcazzi!” anche se poi, in realtà, suonava da far schifo. 


E fu questo che mi spiegò quel giorno Jason mentre chiedevo se potevo tenere in mano la sua colt... mi spiegò che non importa se sai fare una cosa oppure no... l'importante è che tu ci creda davvero, e se lo fai, se ci credi così tanto da imbrogliare anche te stesso, allora è fatta, perchè fregherai anche tutti quanti gli altri!


Non era un fesso Jason, questo bisogna dirlo.


Voglio dire, era cresciuto in Arizona in una capanna di vaccari e non era mai andato a scuola neanche un giorno della sua fottutissima vita. Aveva vissuto per 30 dei suoi 35 anni in mezzo a vacche e merda di vacca... ma era depositario di quella saggezza che impari stando a contatto con le piccole cose...  e con le grandi cacate, e quelle di una mandria sono grandi davvero.


Ecco che tipo era Jason, a differenza di Wilton, che era cresciuto in una grande fattoria, in Virginia ed aveva i modi di un damerino. Si diceva che suo padre possedesse mezzo stato e fosse l'uomo più ricco degli Stati uniti, e che lui avesse studiato con i migliori maestri privati... anche se non lo si sarebbe mai detto a giudicare da quelle enormi e callose mani da minatore. Del resto che fosse un damerino lo si vedeva dal sorriso... solo i damerini sanno sfoggiare quei sorrisi idioti senza sembrare davvero degli imbecilli... e lui lo era senz'altro, imbecille intendo, perché se sei il figlio dell'uomo più ricco del paese non te ne vai a suonare il pianoforte nel più maleodorante Saloon nel Kentucky, no?


Comunque a modo suo sembrava uno contento... Jason, anche se lui questa cosa dello sguardo convinto non era mai riuscito ad impararla ed ogni volta che ci provava assumeva un'espressione da coglione e tutti lo prendevano per il culo. Ed era anche generoso, Jason, perché quando gli chiesi di farmi vedere la sua preziosa 6 colpi col calcio in madreperla, non batté ciglio lui, la sfilò dalla fondina e me la diede... e fu solo un maledetto incidente se nel prenderla partì il colpo che uccise il vecchio Ballantine...


Ora, dovete capire, che anche se quello era il più maleodorante Saloon del Kentucky, era anche l'unico Saloon nel giro di 30 fottutissime miglia... e ci saranno stati 20 o 30 uomini di Ballantine, lì dentro, che come il loro vecchio tirò le cuoia, preso in piena fronte - se non è sfiga questa! Come tirò le cuoia, dicevo, misero mano ai ferri per fare la festa all'assassino. Ecco perché mi affrettai a restituire la pistola col calcio di madreperla a Jason. E lui, per carità, era un bravissimo ragazzo quel Jason, ma gli mancavano i riflessi, perché invece di rinfoderarla subito, restò lì impalato con quella fottuta sei colpi ancora fumante in mano.


Lo crivellarono di colpi, Jason... proprio mentre cercava di indicarmi con l'indice della mano sinistra. Ricordo ancora la sua espressione a metà tra lo stupefatto e l'incazzato, e mi spiace di non essere riuscito a chiedergli scusa... ma mentre moriva, i suoi compari del Ranch WC barrato avevano messo mano anche loro all'artiglieria e in quel Saloon non si capiva più niente, quindi ritenni più opportuno cercare di svignarmela, non so se capite...


E proprio mentre cercavo di raggiungere l'uscita, con i proiettili che fioccavano intorno a me, quel bastardo del barman mi indicò dicendo a tutti che ero stato io, proprio prima che un proiettile vagante gli spaccasse il cuore.


Improvvisamente nel locale calò il silenzio. Se si eccettua il suono del pianoforte, perché una cosa bisogna dirla, anche se quel Werben (o come diavolo si chiamava) suonava da far schifo, una volta che aveva cominciato non lo smuovevi più, nemmeno con le pistolettate. Comunque c'era lui, che suonava, e tutti gli altri, quelli ancora vivi, intendo, che guardavano me... e non sembravano molto ben disposti... così, incassai la testa tra le spalle, e filai, coi proiettili che mi fischiavano intorno. E l'ultima cosa che vidi, mentre me la davo a gambe, fu Wibron Trickest, chino sul pianoforte crivellato di colpi, con quelle manone da minatore sollevate, il sorriso da ebete, e lo sguardo concentrato ed ispirato.


In effetti, la prima volta che vidi Winter Brackett fu anche l'ultima, perché non sono più tornato in quel Saloon di merda.


Ora che ci penso, forse si chiamava Walton...

2 commenti:

  1. e con questo western godibilmente desueto (pezzo raro, di questi tempi), bilancio il bel racconto di *fantascienza* made in aquatarkus letto 'sto pomeriggio.
    nonostante il finale si "smorzi", la prosa strizzabudella m'è parsa assai centrata (almeno tanto quanto il ballantine, in piena fronte). bella anche l'immutabilità del sorriso di w*, ebete e ispirato tanto da vivo quanto da morto.
    :)
    ps1: (occhio, refusi: "pianorte" e "banconde")
    ps2: anche tu tri-babbo! (i miei sono 97, 00 e 04... eh, t'abbraccio di soliedarietà fraterna:))

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  2. sei andata a notare gli assorbenti nelle tags del post... sono davvero ammirato! Verrò a leggerti con attenzione.

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