domenica 13 aprile 2008

La Straniera d'Inverno (parte 2)

Sempre in anteprima mondiale, siamo lieti di presentare altri due estratti dal romanzo ormai in fase di ultimazione. Nel primo viene raccontata la prima notte d'amore della giovane Masha, (un'amica di Lidia), con Misha, un ufficiale russo cugino di Alexander. Nel secondo, invece, un drammatico momento tra Lidia e MacKeron, nella Leningrado martoriata dai bombardamenti. Anche qui potrete notare la padronanza della scrittura delle due donne ed il sublime modo di evocare momenti e sensazioni straordinarie:

Mentre le mani di lui scorrevano sul suo corpo, Masha provò una sorta di vertigine e si chiese se fosse davvero lei, lì, in quel momento, ad annegare la propria consapevolezza tra le braccia di un uomo che conosceva appena. Lei, che aveva passato 10 anni in un collegio di suore… lei, che non aveva mai rivolto la parola ad un uomo nel corso dei suoi primi 16 anni vita. Lei, che era così timida e pudica, che la sera, da sola, quando si spogliava per indossare la camicia da notte, lo faceva al buio, perché si vergognava della sua stessa ombra. Eppure adesso era lì, nuda, ansimante, in attesa di baci avidi, di carezze, in attesa di essere resa, finalmente, donna da un uomo… dal suo uomo. Proprio come succedeva nei meravigliosi romanzi d'amore che leggeva di nascosto, la sera, in soffitta, quando i genitori dormivano.
E mentre contemplava il corpo di Misha, finalmente libero dagli orpelli della divisa, esporre la propria possente muscolatura, mentre lasciava scorrere le dita sul suo virile torace, cosparso di peli, mentre sentiva la sua maschia virilità ergersi e premere contro di lei, incurante delle basilari leggi di gravità, capì che fino a quel momento la sua vita era stata solo nullità… e che solo ora era davvero viva.
Rise come inebriata arcuando il corpo all'indietro per accogliere meglio il poderoso alfiere del piacere di Misha, pronta a fondere il proprio immenso desiderio con quello di lui. Rise come una bambina ebbra di voglia di vivere… ed in quel momento… Misha grugnì come un pollo al quale stessero tirando il collo. Diede un'ultima violenta spinta, e si rivoltò di lato ansando lasciandola perplessa con una improvvisa sensazione di vuoto.
"Ma cosa?" mormorò incerta.
Lui le sorrise appagato e le carezzo dolcemente il volto, intrecciando le dita nei suoi lunghi riccioli dorati.
"Sei più bella dell'alba che fa risplendere le guglie di Leningrad… mia principessa…"
"Sì, ma… è già finto?" Domandò lei, sempre più confusa.
"Mia piccola e dolce Masha… si vede che era la tua prima volta… non sai ancora niente della vita, mio dolce fiore, ebbene sì amore… è finita…"
"Uh".
"Qualcosa non va?" le chiese l'uomo, leggendo un vago disagio nel modo in cui lei si mordicchiava il labbro…
"No… no… è solo che, credevo durasse un po' più di 30 secondi…" disse lei, avvertendo come un grido di protesta levarsi dalla sua intimità insoddisfatta.
"Ah!" fece lui allargandosi in un ampio sorriso. "No dolce stella del mattino… è un errore comune di molte donne, ma non preoccuparti, è così che dev'essere…" poi si voltò dall'altro lato e, afferrata la bottiglia di vodka, cominciò a bere rumorosamente. Quando ne ebbe vuotato il contenuto si lasciò ricadere sul cuscino.
"Sai…" le disse dopo un attimo, "sono davvero felice". Poi ruttò rumorosamente e si addormentò all'istante.
Masha rimase lì, accovacciata al suo fianco. A contemplare quel bellissimo volto, così maschio, così sereno. Quella bocca dal contorno virile, piegata in un mezzo sorriso, con un rivolo di bava che colava da un lato. Ed il poderoso alfiere, ormai ridotto alle dimensioni di un pedone… pendente, sconfitto.
Per un attimo Masha provò l'irrazionale impulso di afferrare una balalaica e sfasciarla in testa a Misha. Poi si limitò a raggomitolarsi di lato con un sommesso gemito di insoddisfazione.
"Che ne sai tu degli uomini, in fondo…" si disse. E cercò di addormentarsi e di sognare un uomo diverso dagli altri, uno che potesse soddisfare quello strano desiderio che era rimasto inappagato e che così sarebbe rimasto per chissà quanto tempo.
Accidenti ai romanzi d'amore!
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Lidia correva tra la folla. Una folla di sconosciuti… uomini e donne di un'altra epoca, che parlavano un'altra lingua. Uomini dal volto segnato dalla guerra e dalla fame. Donne dagli occhi che avevano pianto mariti e figli strappati via precocemente. Uomini e donne che, come lei, avevano perso la speranza e si stringevano caparbiamente alla volontà di andare avanti, almeno un altro giorno, prima di arrendersi al destino. E così facendo, vivevano, ostinatamente, giorno dopo giorno.
Lidia non li conosceva. Non sapeva quali terribili storie si celassero nei loro sguardi feriti. Non sapeva niente di loro, ma avrebbe voluto ugualmente parlargli per dir loro: "Vi togliete dai piedi brutti stronzi?!" Ma tanto a che sarebbe servito, non capivano una cippa né di ciociaro, né di inglese… erano russi quelli! E camminavano, instancabili, lungo la strada, impedendole di avanzare… impedendole di correre via da… MacKeron.
Ancora le rimbombavano nelle orecchie le dure parole dell'uomo, mentre fuggivano sotto il feroce bombardamento tedesco. Rimbombavano cupe, le parole, confondendosi con i più cupi boati delle esplosioni: "e questo sarebbe il posto dove avremmo dovuto rifarci una vita?! Maledetta donna… se proprio dovevo morire in guerra, dovevo farlo lì, in un dolce campo erboso della mia patria, combattendo per la libertà, tra gli uomini del mio clan! Fratelli come me… vigorosi uomini in gonnellino, fieri di mostrare al nemico il proprio batacchio, e non qui, in questa fredda landa lontano mille miglia da casa…"
Quelle dure parole l'avevano ferita profondamente, lacerandole l'anima. Facendole molto più male del fatto che, correndo sotto i calcinacci, continuasse a pestarle i piedi.  Quelle parole erano ingiuste. Che ne sapeva lei, che l'arcana magia che le permetteva di viaggiare attraverso tempo e spazio, li avrebbe strappati all'atroce campo di battaglia di Cullhoden, nella scozia del 1700, per portarli in una Leningrado assediata dai tedeschi?
Aveva cercato di spiegarglielo. Aveva cercato, nel viso segnato di MacKeron, quel dolce sguardo da cagnolone di cui si era innamorata, al ballo del solstizio, quando, tenendola stretta tra le braccia forti, aveva piroettato lungo la pista, sotto le mille luci dei lampadari di cristallo, e poi le aveva insinuato la lingua nell'orecchio sussurrando dolcemente "ti stantufferei per tutta la notte, piccola…"
Quello sguardo dolce, velato di una sottile ottusità belluina, con cui l'uomo aveva esplorato il suo corpo nudo, libero dal vestito di velluto verde, ed offerto a lui ed ai raggi della luna pallida, quella stessa notte.  Quando le aveva sorriso, bellissimo e, accarezzandole i capelli, le aveva detto: "Hai idea di quello che provo?"
"No" aveva sospirato lei stringendosi contro di lui, mentre le gambe le cedevano "Ho idea soltanto di quello che provo io". Poi, seguendo lo sguardo ammiccante di MacKeron, aveva scorto il prepotente e promettente rigonfiamento dei pantaloni, "Oh… beh… forse un'idea adesso me la sono fatta" aveva aggiunto, arrendendosi, infine, al desiderio dell'uomo.
Aveva cercato, dunque, col suo sguardo implorante, quello sguardo di allora. Aveva cercato disperatamente, coi suoi occhi languidi, quegli occhi da peloso orsetto lavatore.
E per un attimo lei e MacKeron erano rimasti  immobili, a guardarsi. Incuranti delle esplosioni che continuavano a seminare devastazione in una Leningrado ferita, ma non vinta.
Incuranti della parete che stava crollando, alla loro destra, rivelando le viscere di un palazzo crudelmente sventrato, ed il vecchietto arroccato sulla tazza del gabinetto che li fissava con spaurita confusione.
Ma quegli occhi non c'erano più. C'era una fiera rabbia che ardeva rendendolo una figura gelida e remota, e lei, incapace di sopportarlo, lo aveva lasciato là ed era corsa via, ignorando il suo richiamo. Incurante delle parole dello scozzese, che la inseguivano: "Lidia… aspetta… Lidia non correre… hai il mio portafogli addosso !" ...

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